Estate del 1984.

A quei tempi per sbarcare il lunario facevo il lavapiatti in uno squallido ristorante del milanese, e le mie notti sembravano non avere mai fine.

Milano era una fetida sardina in umido e Piazza Duomo un'immensa piscina. Di notte, non tutti lo sanno, non erano poche le persone che vi si aggiravano in costume da bagno o mutandoni d'ordinanza. Non avevano ancora inventato gli acquapark e del senso del pudore è mai importato nulla a nessuno. Nella nebbia ogni tanto nasceva qualche amore.

Io, terminato il mio turno di lavoro, mi trascinavo per strada fino al mattino in compagnia dei miei fantasmi. Gli unici disposti a dare ancora credito alle mie cazzate.
Qualche volta mi fermavo al solito bar per un whisky o due.

Dovevo essere al terzo bicchiere e dovevano essere da poco passate le sette del mattino quando Giulia rientrò, per pochi minuti, nella mia vita. L'impatto fu violento: un suo solo sguardo mi portò indietro di almeno sette anni. Sorrise, mi abbracciò forte. E a lungo.
Ebete, sfoderai le solite domande di circostanza e mi tenni sul vago nel rispondere alle sue: non ero sposato, non avevo una ragazza nè ero diventato un brillante matematico, sì vivevo da solo in un misero monolocale preso in affitto da un qualunque obeso affittacamere, non vedevo nessuno dei vecchi tempi e la chitarra l'avevo buttata chissà dove perché tanto non avrei mai sfondato. Ero felice di vederla. Mai avevo smesso di amarla, dal primo momento in cui avevo incrociato il suo sguardo.
Ma anche questa volta non le dissi nulla. Mi abbracciò ancora, si voltò e, con la stessa violenza con cui era rientrata, pochi minuti prima, nella mia vita, ne riuscì. Forse per sempre.

Al quarto bicchiere pagai il conto e mandai a quel paese il solito tifoso del Milan. Beccalossi era passato alla Sampdoria ed ero molto incazzato. Mi ritrovai in strada, al mattino, in una città assolata e disperata come mai. Ero circondato da morti in putrefazione: una fetida scatola di sardine vecchia di anni. Ecco cos'era Milano quell'estate del 1984. Comunque ero fuori tempo massimo. Dovevo tornare a casa.

Salii le scale senza fretta e cercando di non fare rumore, come un ladro. Aprii la porta, buttai via i miei stracci, malmessi e puzzolenti, tirai fuori un bicchiere, sporco, la solita bottiglia di Johnnie Walker e un impolverato "Let It Bleed". Il giradischi cominciò a girare, quando mi accesi una sigaretta. Mi sdraiai sul pavimento freddo. Non avevo mai smesso di sanguinare.

Fortuna che almeno quel fottuto disco suonava ancora come un tempo.

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