Il rock, o meglio, l'hard rock, è passato di qui.
I Velvet Underground (Lou Reed, John Cale, Sterling Morrison, Maureen Tucker) e l'eclettico cantante Nico, con la protezione artistica di Andy Warhol (compare anche come produttore, ma è una bufala), realizzano quello che è indubbiamente l'album più importante e influente di tutto il rock moderno e luciferino.
Un confronto a distanza coi Beatles, che proprio in quell'anno facevano uscire "Sgt. Peppers Lonely Hearts Club Band", altro monumento del rock moderno. La sfida tra i Velvet e i Beatles si risolve, come prevedibile, in un lussuosissimo pareggio: i Velvet piacciono ai contestatori e ai pionieristici punk, i Beatles vengono idolatrati da quegli ex ragazzini che, cinque anni prima, canticchiavano "She loves you".
"The Velvet Underground & Nico", prodotto dalla gloriosa Verve, è un album micidiale e clamoroso, psichedelico e affascinante. In piena era hippy, tra canne e figli dei fiori, i Velvet scardinano dall'interno le regole basilari del rock e della decenza: parlano a ruota libera di droga, sesso, paure adolescenziali, guerra e morte.
Giocano forte e sbancano il piatto: musicalmente lucidi, tentano, riuscendoci, di fondere in un unico colpo di chitarra il pop e il rock, il dark e il punk (che forse nemmeno esisteva), l'hard e l'house (che sicuramente non esisteva). E le paure dei Velvet, in fondo, sono le paure di mezza America, incerta se schierarsi con la folle spedizione vietnamita o sostenere, non solo a parole, la causa onesta e eccellente di Martin Luther King. Lou Reed è un leader indiscusso, John Cale obbedisce scolarmente (entrerà in polemica con Reed solamente a partire dal 1968).
Un pugno di canzoni memorabili, e qualche guizzo di genio e lucidità: "Sunday morning" e "I'm waiting for my man" sono brani tipicamente loureddiani (cioè, attribuibili all'estro di Lou Reed); "I'll be your mirror" e "Femme fatale" portano l'inconfondibile timbro vocale di Nico; "The black angel's death song" è un lunghissimo esperimento rumoristico musicale tipico dell'estro creativo della Factory di Andy Warhol; "Europen song" è un delizioso e toccante brano dedicato alla figura, mitica e rivoluzionaria, di Delmore Schwarz, amico, nonchè mentore, di Lou Reed ai tempi dell'Università; "Heroin" è il brano più celebre dell'intero album, e racconta, in maniera scioccante, gli orrori (ed errori) dell'utilizzo della droga, nel caso specifico dell'eroina.
Per chi, come il sottoscritto, conosce poco l'inglese, non c'è da esitare nemmeno un secondo: andarsi a leggere la traduzione in italiano. I Velvet Underground picchiano duro sulla lunga onda della psichedelia, ma non si limitano a copiarne gli umori o le sensazioni. Il loro è un esperimento duro e puro: stravolgere il rock e creare un genere nuovo, l'hard rock. E i Deep Purple, nel 1970, con "In rock", in realtà, non inventarono nulla: presero l'hard rock dei Velvet, lo caricarono di note e gridolini, ne fecero un genere di grande impatto popolare e specularono, pur con grandissima professionalità, ai danni, e alle spalle, dei Velvet Underground.
Eppure, nonostante la bellezza indubbia della voce di Rod Evans, la voce, afona e sensualissima, di Mr. Nico è, ieri come oggi, inimitabile e portentosissima. Famosissimo (e, ad essere onesti, veramente eccezionale) il disegno in copertina, opera, naturalmente, di Andy Wahrol. Una banana, forse sarebbe stata più consona una scatola di cioccolatini.
E pensare, che questo meraviglioso capolavoro, nel 1967 vendette talmente poco da non entrare nemmeno fra i primi 100 album in classifica (si assesterà al 200esimo posto). Verrà clamorosamente, e giustamente, rivalutato in piena epoca epoca, diciamo da Patti Smith in poi. È stato rieditato dalla Polydor nel 2002 su doppio Cd con l'aggiunta di due pionieristici 45 giri e cinque canzoni scippate al primissimo album di Nico, fra cui spicca la portentosa "Chelsea Girl". Naturalmente, la riedizione non vale l'originale, come sempre.
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