Dopo lo storico "The Velvet Underground & Nico", che purtroppo non ha avuto il successo che avrebbe meritato , pur restando una delle pietre miliari di tutta la musica , Lou Reed & Co. si tuffano nella realizzazione del loro secondo disco, che non si presenta per niente facile a partire dal fatto che vengono licenziati Warhol, che aveva contribuito a creare l'icona dei Velvet Underground e che loro stessi ritenevano stanco di loro, e soprattutto Nico, la splendida "Femme Fatale" che tanto aveva contraddistinto con la sua voce celestiale alcune delle splendide composizioni dell'album precedente.

Ma non è solo per questi motivi che l'album mantiene un aspetto più meticoloso rispetto al precedente. I Velvet erano allo sbando, avevano i soldi che bastavano solo per permettersi semplicemente viveri di prima necessità. Visto l'insuccesso del primo album, la Verve decise di affidare il gruppo ad un nuovo produttore, Tom Wilson. Si narra che quest'ultimo, durante tutta quanta la lavorazione, non si rendeva utile per le canzoni in alcun modo e ciò rendeva furioso Lou Reed. E quindi, per dare segno di quanto fosse incazzato, aveva deciso di registrare le canzoni con pochi canali, e soprattutto, a volumi schizofrenici. È questo il motivo principale per cui la qualità sonora dell'album si presenta pessima, tanto è vero che si sente peggio di qualche bootleg. Ma ciò non finisce per essere un difetto, anzi conferisce all'album una veste particolare che lo contraddistingue da qualsiasi altro album.

E si capisce già all'inizio della prima canzone "White Light Wight Heat" che l'album è ben diverso dal precedente. Si è vero, siamo sempre su vasti territori psichedelici, ma è una psichedelia diversa. Tutti gli strumenti si amalgano tanto che è difficile distinguerne uno dall'altro. Interessante. Ma per aspettare il primo vero capolavoro del disco bisogna arrivare alla terza canzone, "Lady Godiva's Operation", caratterizzata dall'incredibile dicotomia tra la dolcezza espressa dalla chitarra e la pura follia. La traccia successiva, "Here She Comes Now", è un brano scartato dalle sessions del primo album che avrebbe cantato Nico. Fino ad adesso sicuramente qualcuno di voi vi sarà chiesto perché ho dato 5 ad un disco fatto di canzoni carine tra cui solo una eletta capolavoro. Fortunatamente "I Heard Her Call My Name" rialza la media, riportandosi su territori aspramente duri. Ma è solamente il preludio al capolavoro assoluto del disco, e secondo me, dei Velvet: "Sister Ray". La canzone si protrae per 17 minuti innestata su un ritmo forsennato scosso dagli stupendi dialoghi tra la chitarra e l'organo, amalgati alla perfezione dal rumore, che è l'elemento cardine del disco. Veramente devastante, aggressiva, grezza, bellissima, e condita da un testo divertente che parla di un festino in cui è presente un gay.

E ascoltando questo brano si intuisce facilmente come i Sonic Youth abbiano preso considerazione di questo brano per costituire i loro baccanali più famosi. E si intuisce soprattutto che i Velvet sono semplicemente, pur avendo una discografia tutt'altro che numerosa, uno dei gruppi più fondamentali e influenti di sempre, ispiratori del punk e del noise. Infine, il disco è senza dubbio rispetto al precedente più difficile, più aspro e duro. Certo, ovviamente non ha la stessa importanza storica del precedente, ma secondo me dal punto di vista musicale è più completo e più bello. Insomma, in fin dei conti il vero capolavoro sta qui. (P.S.) "Non torturatemi dicendo che questa recensione c'era già , ho preferito scriverla perchè francamente l'altra mi sembrava un pò scarna".

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