'White Light/White Heat' è sporco. E' duro. E' il punk prima del punk, il metal prima del metal, la new wave prima della new wave. 'White Light/ White Heat' è droga, sporcizia, disordine, confusione, oblio. Cosa può volere di più un puro ascoltatore di Rock?

Senza Nico e Wahrol, nella loro formazione originale, i Velvet Underground ebbero finalmente tempo per esprimere nel miglior modo possibile il loro lato oscuro, sperimentale, folle e forse un po' marcio dentro.

Ed è da questo progetto che nasce uno dei dischi più importanti per il Rock come lo intendiamo oggi. 'White Light/White Heat', è se vogliamo fare un paragone, la parte sporca e oscura di The Velvet Underground & Nico. Dalla title-track si può subito intuire il progetto di Reed e compagni. Suono confuso, distorto, feedback, suoni che sembrano provenire direttamente dalla presa elettrica. Tuttavia la prima traccia ancora contiene la forma della "canzone" tradizionale, Verse Chorus Verse, per intenderci. E' con "The Gift", superba composizione free-form, accompagnato da un tragico racconto in puro stile underground, che il Velluto inizia a provocare, a iniziare la sua folle impresa di modificare il Rock definitivamente. La dolce ballata "Lady Godiva's Operation", accompagnata da un violino elettrico fantastico ma quasi impercettibile, è un inno alla prolissi, alla ripetizione. Quelle che sembrano chitarre e batterie sono in realtà strumenti per un'ipnosi trasudante di feedback. "Here She Comes Now" è una transition, l'unica canzone dell'album ad essere veramente melodia pura, poesia. "I Heard Her Call My Name" segue lo stesso concetto zen di "Lady Godiva's Operation": ipnosi in chiave pre-punk, questo brano lima e affina i concetti che in quegli anni si erano venuti a formare di musica "Hard".

Ma la rivoluzione è appena cominciata. Sta per iniziare "Sister Ray". Scritta su un treno dopo una pessima performance, "Sister Ray" è il brano più sconvolgente che un gruppo musicale abbia mai creato. Droga, alcool, sesso, puttane, sangue, sono racchiuse in 17 minuti di follia, 17 minuti di libido musicale. Una voce che cerca in qualche modo di raccontare una storia, urlando sotto quella chitarra impazzita che non fa altro che delirare per tutta la durata della canzone. Un'orgia di rumore nella quale una batteria batte lo stesso ritmo costante per tutta la durata della traccia, senza mai perdersi un secondo; un organetto che si improvvisa fratello gemello della chitarra, e generante una litania lunga metà brano, raggiungendo il suo punto massimo al minuto 4:28. Il ritmo si fa poi sempre più blues, più rilassato, ma mantenendo quel ritmo e quel tono intrascurabile. La fine arriva, dopo decine di sbalzi, sussulti, dopo questi 17 minuti di angosciosa agonia. Improvvisamente, come un infarto, chitarra, batteria, organo smettono di suonare.

Dopo 'Velvet Underground & Nico' e 'White Light/White Heat', niente sarà più come prima nella musica, e dopo averli ascoltati, tutto in noi cambierà.

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