La mia opinione non conta una ceppa. Voglio dire, ero arrivato al punto di gradire un (doppio) disco come "Gothic Kabbalah", pomposo e pompato, barocchissimo, sinfonico, patinato quanto volete, e forse lontano qualche parsec dall'essere originale o innovativo; ma per ragioni ignote mi è piaciuto non poco e ha retto piuttosto bene alla prova del tempo. Lo stesso discorso vale per tutte le uscite targate Therion dell'ultima decade, da "Deggial" sino al parto gemellare "Lemuria"/"Sirius B": il gruppo (ahem, o meglio il progetto solista di Mr. Johnsson) ha perso da un pezzo la vena avanguardista che aveva caratterizzato episodi ben più rilevanti, nonchè veri capolavori come "Theli", "Vovin" ed il mio preferito "Lepaca Kliffoth", finendo col sfornare perlopiù una sequela di lavori pregevoli, raffinati, benchè di mestiere. Ma che mestiere!, mi verrebbe da aggiungere. Non ricordo di aver mai disprezzato anche solo una scoreggia del signor Johnsson: tutto quello che faceva mi è sempre parso terribilmente elegante, curato, ricco di fascino e spessore lirico, mai volgare... Perciò ribadisco: la mia opinione in merito all'operato dei Therion non conta una ceppa; è tutto fuorchè obiettiva.

Ma torniamo all'anno corrente.

I Therion si affacciano finalmente sul nuovo decennio con questo "Sitra Ahra", ovvero un'ora abbondante di musica, una tracklist abbastanza imponente e, last but not least, una copertina orrida. Il problema è che l'artwork dell'album è decisamente più bello del suo effettivo contenuto musicale. Difatti "Sitra Ahra"  è un disco che, anzichè mettere nuova carne al fuoco, tira fuori dal freezer quella vecchia di 6-7 anni fa e ce la sbatte sul piatto ancora congelata; "Sitra Ahra" è un disco che non promette e/o rielabora nulla, non è un album di transizione (vabbè, l'ultimo risale al 1995, per cui...) e non è nemmeno un disco di consolidamento (e cosa avrebbero da consolidare ancora, dopo tutti questi anni di mestiere?!); "Sitra Ahra" non solo è un disco che sprofonda inesorabilmente negli abissi del proprio manierismo kitsch, cosa di per sè neanche così esecrabile, ma è soprattutto un primo vero segno di disordine e confusione sul lato prettamente musicale/compositivo; e quest'ultimo aspetto, a prescindere da tutte le altre magagne che l'album riesce ad accollarsi in 61dicosessantunominuti, è sufficiente a rendere l'ascolto un'esperienza a dir poco frustrante e penosa.
Insomma, se prima Johnsson & compagnia bella sapevano svolgere perfettamente il proprio mestiere, pare che ora non sappiano più fare nemmeno quello.

Cosa non va in "Sitra Ahra"? Praticamente tutto. La produzione e i suoni in generale, la struttura dei brani e gli arrangiamenti, la mancanza di una precisa direzione musicale, la semplice quanto cruciale scelta delle melodie... Non riesco a trovarci nulla di buono, seriamente. L'omonimo brano di apertura è talmente spento ed impersonale che, anzichè riscaldare le orecchie all'ascoltatore per i prossimi 60 minuti di ascolto, gli congela i maroni: riffing moscio e poco incisivo, ritornello corale ciondolante e inespressivo, performance svogliata. Proprio niente di eccezionale, anzi. Peccato che sia uno dei brani migliori dell'album. "Kings Of Edom" segue più o meno la stessa scia, semplicemente è un cicinin più lunga e congegnata: Thomas Vikström e Lori Lewis si alternano in modo quasi avvincente tra versi e strofe, e giunti a metà brano Johnsson e la cricca pigiano sull'acceleratore buttandosi in una cavalcata un po' claudicante, accompagnati dai coristi che però sembrano cantare mezzo miglio più in là del microfono.

C'è poi l'imponente "Land Of Canaan", colosso di oltre dieci minuti che a quanto pare ha mandato in visibilio il mondo intiero, fatta eccezione per il sottoscritto. Probabilmente è una delle cose più tediose e frustranti che le mie povere orecchie abbiano mai sentito: arrangiamenti talmente plasticosi e ovattati da far venire il voltastomaco, totale assenza di un filo conduttore, continui e insensati cambi di melodia e orchestrazioni che tentano goffamente di rendere il brano più dinamico, passaggi che non dovrebbero c'entrare nulla l'uno con l'altro assemblati a mò di collage e, infine, i consueti cori che cantano col microfono appeso al soffitto. Spero che ai Therion non venga la malata idea di riproporla sul palco, credo che finirebbero per addormentarsi prima loro del pubblico. "Unguentum Sabbati" invece è la classica canzone spaccona ed energica che dal vivo farebbe la sua porca figura, anche se trovo irritante la voce da Grande-Puffo-con-la-tracheite di Snowy Shaw.

Tralasciando la performance volutamente buffonesca ed enfatizzata di "Hellequin", senza infamia nè lode, fatico a trovare il senso di canzoni come "Kali Yuga, Pt. 3" e "2012 (feat. Giacobbo & The Templar String Quartet)": entrambe cercano di essere apocalittiche, ma non impressionerebbero un procione. "2012", poi, aldilà dell'accozzaglia di luoghi comuni associati, spazia da melodie ultradrammatiche e teatrali ad intermezzi orchestrali-corali smaccatamente kitsch. Ancora più vuota e ridondante è "The Shells Are Open", una sfilata senza capo nè coda di roboanti bassi, baritoni e tenori; e poi c'è questa insignificante scatarrata che prende il nome di "Din", due minuti e mezzo a tutto gas tra riffoni quadrati e growl imbarazzanti. E si prosegue così coi brani restanti, tra gelida indifferenza e orrendo orrorevole orrore; non credo ci sia davvero bisogno di ulteriori riprove, anche perchè non ho manco voglia di tornare nuovamente a spulciare il disco.

Conclusioni? Boh, suppongo che quanto scritto finora parli da sè. Magari C. Johnsson ha creato qualcosa di veramente superiore e, a giudicare dai responsi decisamente positivi (a volte pure estasiati) disseminati per la rete, devo essere l'unico che non ci ha capito una mazza e non riesce a seguirlo. Io tutto quello che riesco a sentire mio malgrado in questi interminabili 61 minuti di musica è una vuotezza esasperante che i Therion non cercano nemmeno di camuffare con la loro consueta eleganza accattivante, perchè il vero problema qui sta proprio nell'incapacità di scrivere dei brani piacevoli o quantomeno ascoltabili.
Che sia davvero l'inizio della fine per i Therion? Mi auguro di no.
Ma, tutto sommato, la mia opinione non conta una ceppa.

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