Questo 2019 si conclude con il botto!
Difficilmente "Ritual" dei "Tygers of Pan Tang" uscirà dalla vostra top ten degli album migliori dell'anno.
Il ruggito chiaro e potente della tigre in copertina ribadisce quale sia il suo posto, certamente predominante e primario nella gerarchia della musica hard rock \ heavy metal più classico del genere.
L'intenzione di "Robb Weir" e compagni era quella di uscire nel 2018 ma il nuovo lavoro è stato rilasciato ufficialmente il 22 novembre 2019, in forte ritardo rispetto alle previsioni. Ad esso si è aggiunto pure quello della distribuzione e relativa reperibilità del cd (e vinile per chi è più tradizionalista o non è avvezzo allo scarico della musica liquida). Così è stato veramente fortunato chi è riuscito a trovare le tigri di Pan Tang sotto l'albero.
Ritroviamo ancora "Robb Weir" e "Michael McCrystal" alle chitarre, "Iacopo Jack Meille" alla voce, "Gavin Gav Gray" al basso e "Craig Ellis" alla batteria.
Squadra che vince non si tocca dice un noto detto sportivo e così è stato.
Anzi, si potenzia. Visti gli enormi riscontri positivi ricevuti con l’album omonimo precedente, la "Mighty Records" ha voluto investire tempo, risorse e speranze sulla sua band piu’ prestigiosa e rappresentativa.
E così le tigri vengono coccolate quasi fossero gattini. Non a caso le registrazioni sono avvenute presso gli studi di Newcastle, pochi km da Whitle Bay (dove nacque la band fondata da "Weir" sul finire degli anni 70 e del punk), affidandosi all’ ingegnere del suono "Fred Purser", una vecchia conoscenza dal pedigree prestigioso e dai trascorsi proprio nella stessa band ai tempi di “The cage” (sostituì "John Sykes").
Il mixaggio sempre a carico di "Soren Andersen" (già chitarrista tra gli altri di "Glen Hughes" e "Mike Tramp") come la masterizzazione a cura di "Harry Hess" ("Harem Scarem").
Ritroveremo i tre tecnici assieme alla band a suonare, divertirsi e rincorrersi in assoli nel brano “Don’t touch me there” registrato per l’occasione (un mix dalla durata doppia rispetto all’originale) e reperibile sul lato b del primo singolo o in alternativa come bonus nel cd di edizione giapponese.
Confermato anche l’artista "Todorico Roberto" coinvolto nel progetto con la creazione del libretto e la copertina raffigurante una maschera stilizzata da tigre icona simbolo della band. Bella la mappa riportante l’isola di Pan Tang.
Dietro una grande band c’è sempre una squadra a supporto. L’artefice di queste fitte trame e contatti informali tra presente e passato è il diplomatico manager "Tom Noble " anche lui già in passato con la band. E le vendite gli stanno dando ragione: le quotazioni "Tygers of Pan Tang" sono in rapida salita dietro le sue direttive.
Il sodalizio creato ha prodotto pure lo split "Purser/Deverill" “Square One” pubblicato a fine 2018 sempre sotto etichetta Mighty Music riportando alla luce quello che avrebbe dovuto essere il seguito di "The Cage", ovviamente con gli opportuni aggiustamenti ed aggiornamenti del caso. In questo modo abbiamo avuto l’opportunità di ascoltare "Jon Deverill" una tra le migliori ugole partorite dalla nwobhm ed ancora oggi in ottima forma.
Per non parlare della precedente pubblicazione (2016) di uno dei tanti progetti del dinamico cantante italico Iacopo Meille e i suoi "Damn Freaks" (di cui sembra prossimo un secondo lavoro). Ma non divaghiamo con lavori paralleli e torniamo alla recensione.
L’ album "Ritual" si compone di 11 brani che si muovono nello stile più caratteristico e moderno del gruppo. E’ stato preceduto dal singolo fisico, questa volta un 12 pollici in vinile (il lato b menzionato in precedenza) “White Lines” uscito il 27 settembre seguito da quelli liquidi abbinati ai video promozione “Destiny” e “Damn you”.
Sono certamente i brani più orecchiabili, melodici, accattivanti e dalla presa immediata che rientrano nello stile classico della band. Molto probabilmente li ritroveremo suonati ai loro concerti da cantare tutti assieme sotto il palco.
Ma l’album si apre con il brano “Worlds apart” un ronzio di chitarra quasi fastidioso fino ai riff chiari e taglienti dei chitarristi dove spicca su tutti la voce di Iacopo Meille che trascina con sè cori contro cori ed echi rendendo la canzone alquanto moderna e piena di sfaccettature che solo con molteplici ascolti si potrà apprezzare interamente.
"Rescue me" è un brano heavy metal cadenzato quasi doom sembra uscito da “The Cage” (Macking tracks) anche per il caratteristico suono della box voice machine che tanto piace usare a "Robb Weir".
Ma tutto sommato l’intero album risulta vario ed accattivante coprendo l’intero spettro cacofonico della carriera del gruppo. In più passaggi si possono ritrovare quelli che sono ormai i marchi di fabbrica dei vari periodi trascorsi. Infatti non mancano ballad e semi ballad: “Word cut like a knives” suonato con grande sentimento e “Love will find the way” che vi lascerà con gli occhi lucidi se proprio non vi scapperà una lacrimuccia.
"Reise some hell" è un brano cristallino in stile tygers al 100% con riffone di derivazione "Spellbound" rappresenta la continuità storica tradizionale dove un assolo di "Michael McCrystall" in stato di grazia strabordante non ci fa rimpiangere i trascorsi di "John Sykes " aacui ha certamente carpito lo stile chitarristico. L’arpeggio in mezzo alla canzone non limita ma solo attenua la portata dello tzunami che vi coglierà impreparati.
Per la verità "Michael" si fa notare in tutto l’album dove effettua i due terzi degli assoli contenuti dimostrando di maneggiare e dominare quello strumento al pari se non anche meglio dell’illustre maestro. In alcuni fraseggi la matrice "Sykes" è riconoscibile ed evidente come in “Spoils of war” altro caratteristico brano in stile ma tutto sommato è proprio questo che i fans vecchi e nuovi vogliono dalle Tigri di Pan Tang. Senza dubbio ci troviamo al cospetto di un virtuoso della chitarra, un novello "Sykes". Speriamo solo che non si faccia attrarre dalle tante luci e sirene del mondo dello spettacolo (lo abbiamo visto recentemente prestare la sua chitarra a personaggi di spicco in vari concerti, con i "Deex Plus" e suonare nella sua originale band "New Breed Revolution" o accompagnare "Mendoza" per mezza Europa.
“Art of noise” è l’essenza della tigre, un concentrato di hm dove si mescolano 40 anni di carriera del gruppo in pochi minuti. Devastanti le ritmiche di basso di "Gray" e batteria di "Ellis".
L’album si conclude con i sei minuti di “Sail on” maestosa e monumentale canzone dedicata alla vita marinara e a tutta la gamma dei suoi umori tanto da contenere nel testo alcuni versi tratti da "The gost" di "Robert Louis Stephenson". Il brano risulta essere uno tra i più complessi mai elaborati dal gruppo e riporta alla mente lo stile più epico maideniano. Con varie sfaccettature, oserei dire quasi progressive, può essere accostato tranquillamente a “Slave to freedom”, “Insanity” o alla più recente “Master of illusion”.
In conclusione, seppur affondando le zampe nel glorioso passato, ci troviamo di fronte ad un album che risulta fresco e moderno e che spicca tra le varie produzioni piatte e anonime odiene.
Si nota una maggiore cura nella produzione del prodotto, corregendo proprio quel punto debole che penalizzò il gruppo in passato. La band è riuscita a ritornata in cima alle vette dei nomi più accattivanti e richiesti ai festival grazie agli ultimi 4 album in crescendo.
Non poteva che essere così per una leggenda della nwobhm.
Ma il difficile arriverà ora con il tentativo di rimanerci il più a lungo possibile ed evitando i possibili scivoloni.
Speriamo solo che il giocattolo non si rompa e la storia non si ripeta. (Scritto il 29 dicembre 2019)

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