Il 19 novembre del 2004 gli U2 decidono di dare in pasto ai fan, la critica e a tutti coloro che si nutrono di musica in ogni suo aspetto e forma, quello che a detta di BonoVox è il loro miglior album di sempre. Molte volte le dichiarazioni dei vari artisti sono volutamente esagerate per rinfrancare e rieccitare l'animo di quei fan che attendono ancora una volta un lampo di classe o di "speranza" così come fa un allenatore di calcio che mette in campo ancora una volta quel fuoriclasse 40enne che non può più chiedere niente al suo fisico ma ha ancora gli stessi piedi per illuminare uno stadio spento.

Quest'album, che volutamente segna un ritorno alle origini, si apre con Vertigo che potrebbe tranquillamente non appartenergli visto il riff esasperato e crudo di The Edge e il ritmo molto incalzante che si discosta dalla melodia complessiva. La canzone è a tratti piacevole ed è l'ideale per aprire concerti e far saltare la folla dei fan presenti ma di certo è di per se banale e non degna di particolare menzione. Si passa successivamente a "Miracle Drug" che nella sua prima parte richiama così da vicino i fasti di un tempo che l'ascoltatore più attento è già pronto a rievocare il passato. Effettivamente la canzone mantiene una buona melodia ed è forse la migliore dell'album insieme alla traccia successiva vale a dire "Sometimes You Can't Make On Your own" dove il lavoro di The Edge e la voce calda, struggente e passionale di Bono si fondono per cercare di toccare le corde più nascoste delle emozioni soprattutto su quel grido disperato e affannoso che sembra voler raggiungere il padre scomparso ovunque egli si trovi. La traccia numero 4 è invece "Love and Peace Or Else" che sembra essere piuttosto inconcludente e fine a se stessa. Diverso è invece il discorso per "City Of Blinding Lights" che è molto accurata nei minimi dettagli (forse anche troppo) ed ha una buona sezione ritmica e una discreta parte di tastiera. Nelle intenzioni di Bono questa doveva rappresentare la degna prosecuzione di "Where The Streets Have No Name" ma pur essendo una buona canzone non si avvicina nemmeno lontanamente con la forza, l'impeto e la semplicità della precedente. L'ultima canzone degna di nota dell'album è "Original Of The Species" dove si nota la grande sofferenza di Bono nel cercare di richiamare le note e la potenza vocale di un tempo che sembra ormai quasi svanita vista anche l'età e i piccoli problemi avuti.

Le altre canzoni invece sono vuote e questo priva l'album di quello scatto necessario per essere ricordato dai posteri. Tutto sommato è un album discreto ed è forse per questo che viene criticato... è come quel fuoriclasse che con il suo tocco di palla e i suoi passaggi fa sognare ancora ma quando si trova a dover rincorrere un passaggio smarcante capace di metterlo di fronte al portiere sente il peso degli anni e la fatica del suo essere unico.

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