Quando uscì "Ovunque Proteggi" rimasi basito. Esterefatto. Totalmente entusiasta, tanto da definirlo il disco italiano più importante dopo "Creuza De Mà" di Faber.

Ma facciamo una premessa. Fondamentale: cosa penso io, per quel pochissimo che conta, del buon Vinicio.

Lo seguo fin dal primo disco. Da quel bel blues swing con sfilza d'alcolici nel ritornello, che mi pareva sì un po' facile e ruffianotto, ma immensamente meglio di tutto quello che allora si sentiva in giro. Sì: c'era il primo Liga che era tutt'altro che male, ma il cosiddetto "nuovo rock" d'allora (ovvero i Litfiba, già quasi vecchi, i Timoria e tutti i loro cloni/figli) mi dicevano meno che nulla e mi parevano fondamentalmente buffi, per non dir di peggio.

E poi c'era la saggia produzione di Renzo Fantini, uno che ha sbagliato pochi colpi, e che ha cotrofirmato i capolavori del Guccio e di Conte. Insomma, non con tutta la sicurezza del mondo, ma mi son detto: "fidiamoci". E già nel primo disco trovai delle cosine buone, che lasciavano bene pensare. Poi "Modì", e soprattutto "Camera a Sud", m'innamorarono definitivamente.

Anche se non ho mai perso di vista neanche per un secondo l'enorme debito del Nostro con Tom Waits. Debito che trovo tanto grande ed innegabile, oltretutto inizialmente riconosciuto, da sembrare a volte imbarazzante e sul confine non dell'omaggio, ma del plagio. Chi lo nega temo non conosca a fondo Waits ed alcune delle sue opere più profondamente innovative e significative (su tutte "Frank's Wild Years" e "Bone Machine").

Ma la genialità di Vinicio, ovviamente, non è stata quella di clonare o imitare, o se vogliamo troppo amare Waits, ma quella di prendere Waits, Conte, tutta la scuola "tenchiana", la tarantella, un'infinità di Sud e molti Balcani, giostre, bande e Fellini, e mescolare il tutto. Un'opera mostruosa e di puro genio seconda solo a quella svolta da Prince oltreoceano: chiarissime le fonti, originale il risultato. Quindi, alla fine, l'aggettivo "caposseliano" ha avuto ed ha ragion d'essere, tanto quanto "contiano", "gucciniano" o "deandreiano".

E, dicevo, con "Ovunque Proteggi" -un po' Waits, un po' Sud, un po' musical, un po' Fellini e tanto seduta psichiatrica- ho trovato un disco unico e geniale. Esattamente come lo fu "Bone Machine" per Waits. E, come nel caso del cantautore americano, da lì purtroppo non si poteva che tornare indietro.

Questo "Da Solo", credo progetto estremamente lontano dal promesso (immediatamente dopo "Ovunque") "Canzoni della Cupa" -già dal titolo più interessante...- è il benvenuto, al nostro comunque grande cantautore, nel triste mondo del "mestiere".

E' un mestierante di lusso, bravissimo, splendido manovratore di parole, col senso dello stornello quanto della ballata. Ma pur sempre un mestierante.

Non c'è un brano che dica qualcosa di veramente nuovo, ma, differentemente dall'ultimo Fossati, non c'è neanche un brano che dica il "già detto" a livelli sommi...: magari ci arriverà, per carità. Waits, dopo l'estremizzazione di "Bone", ha fatto il "suo" "Da Solo" con "Mule Variations", disco d'assoluta modestia, per poi tornare a dire il "già detto" a livelli sommi col doppio contemporaneo "Blood Money" e (soprattutto) "Alice".

È difficile a descriversi. Si tratta di emozioni, di saper strappare ancora sensazioni pure con tre accordi, come Capossela ha saputo fare con "Ovunque Proteggi", la canzone, piccolo capolavoro senza tempo, musica e testi immortali.

Qui il Nostro gira il suo cane per l'aia, bravo come sempre, capace come sempre, riconoscibile come sempre, ma senza smuovere nulla di particolare, e compiendo un innegabile passo indietro nella curiosità e nella ricerca Per sedersi, per la prima volta, sugli allori.

Il disco torna veloce sullo scaffale, e viene sostituito da altri ascolti.

Un'altra volta, Musico mestierante. Sperando che anche tu non sia diventato uno dei tanti.

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