La cosa bella degli album di Vinicio? Ognuno di essi è un mondo ricco di riferimenti a personaggi e storie e luoghi e umanità.
 
Questo disco, il primo ad essere stato prodotto interamente da solo, appunto, da Capossela con l’aiuto del bravo chitarrista Alessandro “Asso” Stefana, continua un percorso a distanza, discostandosi però tantissimo dall'album precedente ‘Ovunque Proteggi’ di peso biblico, dalle gesta urlate, così tanto legato alla fisicità, a un contatto primitivo e secolare con la terra. ‘Da Solo’ invece è molto più introspettivo, intimo, rinchiuso verso l'interno... da coperta invernale e castagne e vino!

Con mia grande felicità si riprende il discorso degli ‘strumenti inconsistenti’, quelli a cui Vinicio aveva già dato spazio in occasione dei concerti in chiesa, quelli che non fanno rumore come una chitarra distorta ma che creano lo spirito delle canzoni... il Theremin di Vincenzo Vasi che ulula la sua voce spettrale e lirica, il cristallarmonio inventato da Gianfranco Grisi, producono l'allusività fatata da canto di Natale di Dickens...  dove non bisogna sforzarsi per sentire tutto, anche il tintinnio di un cucchiaino che cade! A questi si aggiunge ‘il più grande mammifero musicale’, Il mighty Wurlitzer, l’imponente organo che veniva utilizzato per accompagnare i film muti. Ci sono gli strumenti giocattolo di Pascal Comelade che evidenziano quella dimensione d’innocenza e genuinità introdotta nel disco già dalla prima canzone, il “Gigante e il Mago”, e che finisce nella purezza del cielo dell'ultima traccia, “Non C’è Disaccordo nel Cielo”. Insomma un tappeto finemente intarsiato dove primeggiano voce e piano su tutto.

Una voce che sa emozionare...  nel mezzo l’innocenza si consuma con la vita, s’impolvera e si sporca. La voce nuda trasmette il chiaroscuro, “In Clandestinità”, canta della ‘gioia con le gambe corte’… “Come un uccello sulla gabbia ho provato a essere libero”. Racconta la tragicommedia umana del “Paradiso Dei Calzini” in cui noi siamo un po’ come quei calzini spaiati mischiati tra la biancheria, che non trovano l’altra metà “chi si è lasciato cadere sul fondo, chi non ha mai trovato il ritorno, chi ha inseguito testardo un rattoppo”. Le metafore continuano così nel geniale e divertente registro in cui anche la musica, dolcemente cadenzata in simil-carillon, sembra fare il verso a un buffo dramma spietatamente vero “chi ha abusato di Napisan o di Cloritina, chi si è  sfatto con la candeggina”. Procede a passo di tip tap “Una Giornata Perfetta”, pervasa dal buon’umore e spensieratezza da musical. “Parla Piano” e “Orfani Ora”...  storie d’amore finite in cui si perde il dolore, la pena... perché ci si è messo di mezzo il tempo, perché il pianto si è trasformato in inno, perché come dice in “Sante Natale”la pioggia s’è fatta neve e non ferisce ma bagna, e come manna morbida ci consola”. La voce rimane caliginosa e molle al tempo stesso e sola. L’impasto sonoro è incanto percepibile, bisogna scovarlo dietro, ma c’è ed è infinitamente bello.

E poi ci si ritrova “Dall’altra Parte della Sera”, negli ampi spazi e silenzi del territorio americano, dove la leggenda del West si è raggrinzita su se stessa e tutto sa un po’ di lasciato andare, come gli oggetti in “Vetri Appannati d’America”restano le pompe come lapidi in piedi lungo i chilometri immobili” e le persone che la popolano “Cosa ha fatto al tuo volto la vita nel … silenzio d’America”. In questa parte del disco sono i fiati, gli ottoni, a troneggiare nella desolazione di bandiere al vento e fanfare da ‘Esercito della salvezza’. I Testi però sono semplici e vanno subito al segno in “ "Lettere di Soldati”non hai conosciuto chi è che hai centrato, una croce nel vetro nebulizzato, non era un soldato... non era un soldato, piccolo e armato". Quella ripetizione ‘non era un soldato’, con le dovute pause, è agghiacciante! La narratività di Capossela è sempre la sua, incisiva ed eccezionale… si fa ispirare dai 'Racconti dell’Ohio' di Sherwood Anderson per illustrarci, come disegni incorniciati da ogni strofa, i personaggi in processione di quei posti rurali, polverosi e lontani, aiutato nella rievocazione dal texmex dei Calexico che suonano in “La Faccia Della Terra”Il reverendo e il suo calesse e il suo stipendio e la sua moglie altera, pregava il suo Signore che gli donasse il fuoco, a infiammargli dal pulpito il sermone”.

E io ‘Da Solo’ l'ho ascoltato, da sola, per la prima volta in cameretta, senza preascolto, scartato e ascoltato (come facevo un tempo) verso sera con le luci delle macchine che, entrando dalla finestra, proiettavano sul muro i contorni dei rami degli alberi e l'ombra delle foglie.

 i muri parlano da soli, non si rifà la vita non più uguale”

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