Lula Côrtes & Zé Ramalho - Paêbirú (1975)

Questa è una storia di misteri, di favole, di strane coincidenze, di fatti sconclusionati tramandati dal passato, di apparizioni e sparizioni e il fatto che alla fine del tutto ci sia il lieto fine, è solo una conseguenza del velo che il fato ha voluto stendere sull'intricato episodio.

Tutto ebbe inizio nel tardo 1500, quando un capitano della guardia dello Stato di Paraíba, in Brasile, da bravo figlio di una buona donna, si mise all'inseguimento di un gruppo di indios, colpevoli di aver occupato "abusivamente" dei territori, già da loro coltivati da secoli, lungo il fiume che diede il nome allo stato al centro dello sperone atlantico.

Il capitano, percorrendo il letto di un affluente dell'altipiano, si trovò di fronte ad un grande monolite finemente scolpito con strani e misteriosi caratteri, determinando una delle scoperte archeologiche più importanti del Brasile. La pietra fu nominata "Pedra do Ingá" e rappresentava incisioni particolarissime e uniche, databili intorno ai 5/6 mila anni fa e ancora oggi non chiare, tanto che, come sempre, sono stati scomodati anche gli extraterrestri. Un'altra intrigante ipotesi inserirebbe l'ipotetica lingua parlata ad Atlantide in quanto i glifi sarebbero molto simili a quelli proto-ittiti trovati nell'Anatolia centrale e nel disco cretese di Festo, altro oggetto misterioso non ancora compreso appieno.

Dopo quattro secoli dalla scoperta, due compositori brasiliani Lula Côrtes & Zé Ramalho, vedendo le incisioni, ne ebbero un'impressione "psichedelica" e ne vollero fare oggetto dei brani che stavano componendo e che finirono nel doppio album Paêbirú.

Il disco venne composto e inciso nella parte iniziale del 1974 e poi stampato, in un'unica sessione, nel quantitativo di 1300 copie. Altro punto leggendario e poco chiaro vede la città di Recife colpita da una terribile inondazione (più probabile) o forse da un incendio della palazzina sede della casa di distribuzione (meno probabile). Fatto reale è che le copie stampate andarono distrutte per la quasi totalità. Le copie rimaste intatte vennero messe in vendita dal 1975, diventando un immediato e costosissimo "reperto archeologico", creando così un parallelismo con la storia che lo ha generato. L'originale si salvò, forse per miracolo, ma per vari motivi non fu mai ristampato, fino alla recente uscita della londinese Mr. Bongo Records.

Il concept musicale corre attorno ai quattro elementi (terra, ar, água e fogo) e l'esperienza psichedelica, generata dai funghi allucinogeni sudamericani fu, anche a detta degli stessi autori, elemento fondamentale nella realizzazione sonora.

Pur vero che nel mondo i temi psichedelici, all'epoca, avevano già avuto ampia e definitiva trattazione, ma il concetto di miscelazione di elementi e trasporre con metodologia la natura in musica, fu l'atto vincente.

Musicalmente si parte dall'inseguimento narrato in apertura: "Trilha de sume" è la giungla dei suoni, improvvisati, tribali, lisergici, dei drones sussurrati da insetti e animali. E' uno sparo di ancestralità che vede arrotolare il feto su se stesso e distendersi solo grazie all'arrivo di un bucolico flauto, melodico all'inverosimile, specie rispetto allo spirito free dell'inizio del brano. Poi arrivano i pizzicati, i flauti di pan, per miscelare il folk e i sospiri della terra, i soffi tra le fronde di "Harpas dos ares". Veniamo proiettati nel bosco primordiale con "Nao existe molhado igual ao pranto" e già ci vediamo chini tra le foglie, mai calpestate, in cerca di cibo o in un atto sciamanico sostenuto da un poderoso sax, che alcune sostanze del luogo hanno saputo far attorcigliare come una pianta infestante sul tronco della povera vittima. Poi ancora momenti tribali, fuzz hendrixiano a non finire, stralci zappiani, momenti di tradizione che hanno a che fare con la samba, con il jazz estremo, con i raga indiani, con il folk andino, con la musica caucasica ed ellenica e con il loro particolare uso della terza minore. Ancora musica della terra d'origine, anche con i riferimenti psichedelici e pop folk dei conterranei Os Mutantes, ma trattati con lo sguardo folle degli Electric Prunes e con le sovversioni armoniche di Tom Zè. E, per non farci mancare nulla, persino evidenti elementi Kraut.

Il disco è lungo e spesso difficile: alterna momenti di puro spirito sciamanico e di rivoluzione interiore con altri di agreste rilassatezza, con aperture melodiose e ariose di grande effetto. Su tutto dominano percussioni di ogni tipo, atte a generare, sapientemente unite alle voci della foresta e degli indios, un vero set spirituale ed onirico di collegamento interiore con la terra e con gli elementi della natura, in un'esperienza unica e visionaria, forse mai più ripetuta.

Disco unico, per la sua storia e per la sua musica.

Sioulette.

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