Il rock alternativo italiano degli anni '90 inizia ad invecchiare. I padri che hanno contribuito all'emersione (in parte) dall'underground hanno superato di gran lunga il proprio debutto. Per una strana coincidenza del caso nella stessa inquietante primavera di questo 2005, Marlene Kuntz e Afterhours escono con i rispettivi ultimi album. Il gruppo di Cuneo è riuscito a recuperare una vena artistica persa in parte con "Senza Peso", realizzando un grande album.

Gli Afterhours sono reduci dal capolavoro "Quello Che Non C'è" che ha ridefinito il percorso sonoro e testuale del gruppo, orfano di Xabier Iriondo: Dilatazioni psichedeliche, testi più ragionati con meno cut-up, ed un attitudine più cantautorale e meno grunge rispetto agli esordi. Attraverso quest'impostazione, dopo tre anni, dopo un avvicinamento agli anni '70 degli Area (con la partecipazione nel film "Lavorare con lentezza" con il brano "Gioia e Rivoluzione") ed un amicizia importante come quella di Greg Dulli (Afghan Wings, Twilight Singers), musicista e produttore, viene sfornato "Ballate Per Piccole Iene", il loro quinto album studio, sempre per casa Mescal.

Il risultato? Avrei voluto decantarne le lodi, ma devo purtroppo ammettere che questa volta Manuel Agnelli & company hanno avvolto l'album in un unico filo conduttore: la stanchezza. Tutto suona pesante, il ritmo si è rallentato ulteriormente, divenuto ossessivo, privo di emozioni vere (tranne per le prime due tracce: "La Sottile Linea Bianca", con un riff ed un'atmosfera ammalianti, ed il singolo "Ballata Per La Mia Piccola Iena", una cavalcata sonora lenta e ossessiva con un grande testo, entrambi illusori presagi). Nessuna traccia d'ironia, già abbandonata in "Quello Che Non C'è", che a differenza di quest'ultimo, è un agglomerato di emozioni e grandi canzoni. "E La Fine E' La Più Importante" sembra una parodia della vecchia anima del gruppo, che insieme ad episodi pop inquietanti come "Ci Sono Molti Modi" con un'introduzione tastieristica alla Stadio, rendono queste "ballate", un disco assolutamente da trascurare. Accenni di risveglio con la settantiana "Chissà Com'è", che richiama la PFM con il suo riff violinistico di Dario Ciffo, non contribuiscono ad allontanare l'ascoltatore, in questo caso il sottoscritto, da un unico grande sentimento: la delusione.

Ragazzi gli Afterhours hanno toppato questa volta. Forse mi ricrederò, ma per ora è così.
Comunque da vedere dal vivo, per giudicare con tranquillità brani, che sul disco tutto sembrano, tranne che pedine importanti in una carriera artistica, fino a tre anni fa perfetta.

Carico i commenti... con calma