Se la sofferenza avesse una voce non sarebbe tanto diversa da quella di Staley, e se avesse un’anima quella di Alice potrebbe perfettamente personificarla. “Dirt” è il testamento di Staley della sua battaglia contro la tossicodipendenza, in cui mette a nudo tutti i suoi sentimenti e le sue paure. La chitarra di Cantrell, il basso di Starr e la batteria di Kinney accompagnano Layne lungo il suo calvario fisico e psicologico, in una strada che può essere interrotta solo dalla morte.


E’ un attimo: appena inizia la musica parte il grido del singer con quel suo timbro unico, poi un altro, ed un altro ancora; “I believe them bones are me”, e sin dall’inizio si guarda già alla fine, alla polvere e alle ossa.
“Dam That River” e “Rain When I Die”, la prima cruenta e sanguigna, la seconda più psichedelica, continuano il tracciato aperto prima, mantenendo un’atmosfera cupa e morbosa. La scura disperazione di Layne torna a galla nella successiva “Sickman”, una danza macabra e malata a più riprese, con una sonorità perversa che trafigge. La quinta traccia, di cui non vale la pena ricordarne il titolo, è un ricordo dell’incubo della guerra del Vietnam, che vide partecipe il padre di Cantrell; la voce parte inesorabile ed intensa, toccante come sempre, per poi esplodere nel suo sfogo e lasciare spazio ad un riff duro, scarno e diretto, quasi a voler restaurare quello scenario fatto di corpi massacrati e sepolti nel fango della foresta. “Junkhead”, come fa presagire il nome, contiene la ragione della musica degli Alice In Chains, una canzone per la droga e contro la droga, costruita con un andamento allucinante. La title-track invece è forse il pezzo che più mette a disagio l’ascoltatore, è il momento centrale, quello in cui Staley dipinge lentamente l’affresco della sua disperazione, grazie ad una lirica straziante: “You, you are so special, you have the talent to make me feel like dirt, and you, you use your talent to dig me under, and cover me with dirt”. Chiaramente si riferisce ancora alla droga.


La sofferenza senza scampo sembra ormai essere diventata una routine, quando partono “God Smack” e “Hate To Feel”, che infatti non fanno eccezione, anche per quanto concerne la bellezza e la profondità dei brani. Le tendenze metalliche della band tornano a riflettersi sul sentiero di “Angry Chair”, tra melodie claustrofobiche e ritmi spezzati. Il lato invece più acustico e “morbido” degli Alice In Chains trova la sua massima espressione nella stupenda ballata di “Down In A Hole”, in cui ritorna il desiderio, negato, di spezzare le catene della dipendenza chimica. Infine, “Would?” conclude questo capolavoro in maniera epocale e drammatica, con un finale mozzafiato.

Nel mese di aprile 2002 Layne Staley muore di quella stessa sostanza che lo teneva in vita, e a noi non resta che il suo ricordo, la sua musica e le sue parole:
“I’d Like To Fly, But My Wings Have Been So Denied”

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