"Black Sabbath" (Castle, 1970

Nel 1970 il mondo della musica subì una scossa epocale a opera di una nuova forza: i Black Sabbath. Quattro giovani musicisti di Birmingham: John Michael (Ozzy) Osbourne con la sua voce potente e follemente stonata, drammatica; Frank Anthony (Tony) Iommi, già protagonista di una breve collaborazione coi Jethro Tull, ad una chitarra cupa e distorta; Torrence Michael (Geezer) Butler col suo basso morbido e avvolgente; William (Bill) Ward, solido ma raffinato drummer dell'hard-rock britannico. L'esordio avvenne con l'album omonimo, inciso in uno studio di registrazione con quattro sole piste e per un costo di soli trecento pounds.

L'inizio è terrificante: pioggia crosciante e rombo di tuoni, una campana a morto suona in lontananza... Poi irrompe prepotente un riff solido e lento della gibson di Iommi. Benvenuti in "Black Sabbath". Il mondo quotidiano svanisce, e l'ascoltatore è catapultato in un paesaggio da incubo, soggiogato dall'incantesimo dell'inquietante riff d'apertura ripetuto all'infinito, quasi fosse un rituale, una sorta di nera stregoneria; la potenza evocativa di tre singole note è stupefacente: la fondamentale doppiata all'ottava e la quinta diminuita, combo nota come "intervallo del diavolo" (già dal Medioevo, quando veniva chiamata "Diabolus in musica"), creano un'atmosfera sinistra e maligna. Straordinario il lavoro dei musicisti, con il perfetto tappeto ritmico del basso di Geezer, e di Ward alle percussioni. Poi tutto si placa, i suoni si fanno ovattati, ed ecco entrare in scena per la prima volta la voce dilatata di Ozzy che declama parole di paura sul terrificante scenario strumentale. Sul finale, il brano evolve rapidamente in un riff roccioso, martellante, ossessivo, per poi esplodere in un mostruoso assolo di Iommi. Signore e signori, è nato l'hard rock nero, e sono state gettate le basi per tutto il dark sound degli anni a venire.

Segue "The Wizard", particolarissima nel suo heavy blues, con la piacevole novità di un'armonica suonata da Ozzy che si intreccia e si fonde con il riff "cattivo" di Iommi. Il risultato è un'atmosfera mossa, dinamica: la venuta del mago che caccia le forze del male sembra riportare il sereno ("Sun is shining / Clouds are gone by / All the people / Give a happy sigh"), allontanando le nubi temporalesche dell'opener e frantumando la morsa di immobilità che attanagliava l'ascoltatore nei primi sei minuti.

La successiva "Behind The Wall Of Sleep" propone soluzioni tipicamente Zeppelin, un intro movimentato, con il basso e la chitarra che si scambiano convenevoli a non finire, anche se il sound è quello dark del trademark Black Sabbath. Il brano esplora il terreno del sogno (che in questo caso, naturalmente, equivale a incubo) e della distorsione della realtà mediante l'uso di alcool e droghe varie, primo capitolo di un discorso che ricorrerà in tutta la successiva produzione sabbathiana: basti pensare a "Sweet Leaf", brano d'apertura di "Master Of Reality" (1973), a "Snowblind", brano centrale di "Vol 4" (1974), per spingersi addirittura fino a "Trashed", l'opener dell'album con il "rivale" Ian Gillan alla voce, "Born Again" (1983).

"N.I.B." ("Nativity In Black") prende le mosse dalla tecnica compositiva preferita da Iommi: un unico, solido riffone, intermezzato da un rallentamento in corrispondenza di ciascuno dei due chorus, nonchè impreziosito da due potenti assolo, uno nel mezzo e uno sul finale. Da sottolineare anche il gran lavoro di Geezer al basso, che ci regala un gustoso assolo in apertura al brano. Il testo è, udite udite, una dichiarazione d'amore da parte di Lucifero in persona(!), lyric forse tutto sommato un po' immatura di quel pur sensazionale songwriter che è Geezer Butler. Sulle note dell'incredibilmente esplosivo assolo di chiusura termina la prima metà dell'album.

La seconda parte di apre con "Evil Woman", cover dei Cow, brano che, nonostante il buon lavoro dei musicisti, Geezer in primis, resta tutto sommato abbastanza mediocre, privo dell'inventiva e del tipico stile dei Black Sabbah. Anche il testo è molto diverso da quelli scritti dal bassista.

Con "Sleeping Village" invece si torna a livelli ottimali: un brevissimo intro cantato, accompagnato da un arpeggio dalle tonalità cupe e decadenti, seguito da una godibilissima sezione strumentale.

In settima posizione troviamo "The Warning", con Iommi e Butler che ci deliziano con un altro fantastico duello, mentre un ispirato Ozzy canta il dolore dell'abbandono e dell'amore perduto, e Bill Ward detta i tempi preciso come un telecomando e abile nell'apparire e sparire conformandosi continuamente all'andamento altalenante del pezzo. Unica pecca: la continuità del brano è spezzata dalla lunghissima jam session di uno Iommi fin troppo desideroso di mettere in mostra le sue pur straordinarie qualità (questioni di ego), piuttosto slegata dal resto della canzone.

Chiude il tutto "Wicked World", testimonianza di come Iommi abbia ben messo a frutto la sua breve esperienza nei Jethro Tull. E' lo stesso Iommi a regalarci un altro ottimo assolo, mentre Ozzy canta come solo lui sa fare il testo dell'onnipresente Butler, una panoramica sul dolore e i problemi del mondo. Brano che è una efficacissima trasposizone musicale del grigiore disperato delle fabbriche di Birmingham.

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