Robert Allen Zimmerman (per gli amici Bob Dylan), Blonde on Blonde, 1966, Columbia. I parte: "Antropologia di Bob"
Nei nostri corsi, mai retribuiti ma molto apprezzati dai rarissimi, selezionati discenti, abbiamo sempre tenuto a sottolineare come il carattere forse più stringente del postmoderno, da un punto di vista precipuamente storico-teoretico, non è tanto il collage citazionista, quanto, più radicalmente, l’artificio estetico, che astutamente illude come la maya indù: nella foresta vergine, la radice dell’albero è scambiata per il serpe. Questo escamotage si riverbera in esiti autoriali spesso ragguardevoli: che rivelano anziché svelare. La deriva, immaginale prima che musicale, che più si approssima alla realizzazione somma della finzione metasonora è l’AOR; in Italia, tra i grandi, il suo massimo esponente è Max Pezzali, che essenzialmente riconduce le sperimentazioni un poco involute del Battisti panelliano ad un allegro con brio, liberandole da ogni appesantito ed introiettato sostrato nihilistico. Si adatta così il cantautorato algido dell’orso di Poggio Bustone entro cornici modanate di prezioso, sentimentale, accessibile idillio. Di ciò bisogna esser aver piena contezza: nel cd. mainstream da fase terminale dell’età del lupo stanno occultati tesori, le cui omeriche profondità sono incomprese ai più.
Ci sono però occasioni in cui ci vergogniamo di appartenere alla razza bianca: la nascita indoeuropea, per altri versi benedizione graziosamente elargita dai Cieli di Thule, in questi casi appare terrifica maledizione fulminata da Fenrir. Non parleremo del caso Van Morrison, e delle sue sfaldate lagne di meticcio, idoleggiate dai più. Una delle più significative occasioni di manifestazione di codesta paradossale eterogenesi dei fini è rappresentata dal caso umano, antropologico e discografico che andiamo ora, serenamente, a discutere nel dettaglio.
La tradizione europea trova uno dei suoi più evidenti –e quindi nascosti—canali di scolo e di decomposizione nelle sinistre lamentazioni di un Robert Allen Zimmerman, per gli amici Bob, strimpellatore eschimese di professione e torvo rivolo di destrutturazione metaculturale per elezione: che perviene spedito alla cloaca maxima dell’autoreferenzialità psico-blues/folkish da applausi per una mano sola.
Comprendiamo, lorsignori consentiranno, come sia allora giunto il momento di metter mano al calamo, per proseguire la nostra indefessa operazione di recupero, rettificazione ed orientamento metamusicale pro bono pacis. La mia spada è la penna, recitava l’adagio del samurai autotrasmutatosi, per esigenze di scena, in asceta da scrittoio ubiquo.
Zimmerman era già in avanzata fase di degenerescenza forse fin dalla culla, certamente dalla gioventù: prova ne sia la scadente copertina -- artsy come l’ipertrofia prostatica di un cane che ulula dall’inferno – del definitivo “Blonde on Blonde”, in cui il fosco cantore dell’intrattenimento protestatario lanciò la moda dello scialle con fiocco per ceffi vintage: il primo piano ci mostra il suo volto esanime puntare l’obiettivo e trascenderlo verso il vuoto pneumatico; mentre i capelli, a quanto pare, non se li pettinava da quando era nato. Sullo sfondo del quadretto tardoesistenzialista, ci sembra di scorgere le sbarre di una cella: che riprendono in certo modo la fantasia carré dello scialle gnostico. Nel retro, quindi, dobbiamo dedurne, dietro le sbarre, Bob accenna ad un sorrisetto di circostanza, stringendo nella mano destra delle tenaglie, con sul petto una cornice con una foto raffigurante una mongola ritratta di mezzo profilo: simbolismi ermetici troppo profondi per essere rettamente decodificati (prima della mongola, nella foto incorniciata c’era C. Cardinale, e qui all’ermeneutica si sostituiva la contemplazione beatifica: ma il balordo di Duluth non chiese alla divina creatura di apparire in quarta, e questa giustamente lo denunciò: peccato non lo abbia messo sul lastrico, impedendogli così di proseguire la sua attività di corruttore dei gonzi di Occidente).
Settimo album del menestrello della pace (tra il 1965 ed il 1967 ne fece uscire quattro: avrebbe potuto rilasciarne uno o diciotto, per noi non sarebbe cambiato assolutamente nulla), amato dagli hippies (che lui disprezzava, in foro interno ed esterno) e da innumerevoli altre sottospecie di perdigiorno, questa doppia raccolta di carambole per suonatori di ukulele e mescitori di tavernello allungato con l’amaro Giuliani scorre liscia come Gloria, su una tavola da surf sul lungomare di Torvaianica, una notte di mezza estate: ad onor del vero, non si può dire che le tracce siano tutte disprezzabili. Alcune sono addirittura quasi godibili, ad es. quella che descrive torbide visioni di una sgangherata baldracca slo-vacca, dal nome di Johanna, e l’ultima, dedicata ad una donna dagli occhi tristi perché, forse per compensazione rispetto a Johanna, col seno rientrante (una metafora veramente inelegante: il paesaggio, nell’arte occidentale, descrive i movimenti dell’anima, non la delusione edipico-onanistica del falso puritano). Nessuna però, di queste romanze per catapecchie del Midwest, lascia veramente il segno: almeno Cohen vergava poesie su musiche inconcludenti ma simpatiche, e poi è diventato pure buddhista, rinverdendo le mode buone per chi non ha capito nulla della grande civiltà bianca e cristiana; Drake sussurrava senza soluzione di continuità finissimi canti del cigno, e poi è pure morto giovanissimo; Cash aveva una carica che Dylan si sogna anche quando va al cesso a scaricare il tacchino del Ringraziamento. Il nostro, che sembra invece immortale, ha tentato in tutti i modi di rinverdire la surrettizia mitologia della frontiera col protestantesimo più inane (la religione dei fessi e/o degli usurai); ultimamente, gli hanno pure appioppato il meritocratico Nobel: che, si noti, egli non ha rifiutato, semplicemente limitandosi a non essere presente alla cerimonia di premiazione –ulteriore gesto di oligofrenico snobismo, con l’applicazione alla lettera delle teorie dello sbandato N. Moretti sulla “assenza come più acuta presenza”--, sceneggiata nella quale la barbona P. Smith ha sciorinato le sue sulfuree cantate, facendo da mobilia per le cricche di gnostici mondialisti ivi riunite. Sono quasi sessant’anni che, nelle sue esibizioni, il nostro suona (se si può dir così: un rutto al chiar di luna di Drake è superiore a tutta la produzione dell’uccello del malaugurio del Minnesota), puntualmente non sgancia una risata a tutti quegli incorreggibili balordi che hanno speso 700 dollari per idolatrare un legnoso cantastorie che rimesta nel torbido delle sue cianfrusaglie, e poi se ne va come se niente fosse successo. E su questo ha ragione: musicalmente, non è accaduto un bel niente, anche se tutti sostengono il contrario, perché l’ha scritto “Rolling Stones” o l’ha declamato ai quattro venti lo sradicato sotto casa, che ansima al solo annuncio del prossimo film dei fratelli Cohen.
Elenco tracce testi e samples
03 Visions of Johanna (07:33)
Ain't it just like the night to play tricks
When you're tryin' to be so quiet?
We'll sit here stranded, though were all doin' our best to deny it.
And Louise holds a handful of rain temptin' you to defy it.
The lights flicker from the opposite loft.
In this room the heat pipes just cough.
The country music station plays soft,
But theres nothing, really nothing, to turn off.
Just Louise and her lover so entwined
And these visions of Johanna that conquer my mind.
In the empty lot where the ladies play
Blindman's bluff with the key chain,
And the all-night girls they whisper of escapades out on the D train.
We can hear the night watchman click his flashlight,
Ask himself if its him or them that's insane.
Louise she's all right, she's just near,
She's delicate and seems like the mirror,
But she just makes it all too concise and too clear
That Johanna's not here.
The ghost of electricity howls in the bones of her face.
Where these visions of Johanna have now taken my place.
Now, little boy lost, he takes himself so seriously.
He brags of his misery, he likes to live dangerously,
And when bringing her name up he speaks of her farewell kiss to me.
He's sure got a lot of gall to be so useless and all,
Muttering small talk at the wall while I'm in the hall.
Oh, how can I explain? its so hard to get on
And these visions of Johanna, they've kept me up past the dawn.
Inside the museums infinity goes up on trial
Voices echo this is what salvation must be like after a while.
But Mona Lisa must have had the highway blues,
You can tell by the way she smiles
See the primitive wallflower freeze.
When the jelly-faced women all sneeze,
And the one with the mustache say jeez, I can't find my knees.
Both jewels and binoculars hang from the head of the mule,
But these visions of Johanna they make it all seem so cruel.
The peddler now speaks to the countess who's pretending to care for him.
Saying name me someone thats not a parasite and I'll go out
And say a prayer for him.
But like Louise always says, ya can't look at much can ya man
As she herself prepares for him
My Madonna she still has not showed,
We see this empty cage now corrode,
Where her cape of the stage once had flowed,
The fiddler, he now steps to the road,
He writes everything's been returned which was owed
On the back of the fish truck that loads
While my conscience explodes.
The harmonicas play the skeleton keys and the rain
And these visions of Johanna are now all that remain.
07 Leopard-Skin Pill-Box Hat (03:58)
Well, I see you got your brand new leopard-skin pill-box hat
Yes, I see you got your brand new leopard-skin pill-box hat
Well, you must tell me, baby
How your head feels under somethin' like that
Under your brand new leopard-skin pill-box hat
Well, you look so pretty in it
Honey, can I jump on it sometime?
Yes, I just wanna see
If it's really that expensive kind
You know it balances on your head
Just like a mattress balances
On a bottle of wine
Your brand new leopard-skin pill-box hat
Well, if you wanna see the sun rise
Honey, I know where
We'll go out and see it sometime
We'll both just sit there and stare
Me with my belt
Wrapped around my head
And you just sittin' there
In your brand new leopard-skin pill-box hat
Well, I asked the doctor if I could see you
It's bad for your health, he said
Yes, I disobeyed his orders
I came to see you
But I found him there instead
You know, I don't mind him cheatin' on me
But I sure wish he'd take that off his head
Your brand new leopard-skin pill-box hat
Well, I see you got a new boyfriend
No, I never seen him before
Well, I saw you
Makin' love with him
You forgot to close the garage door
You might think he loves you for your money
But I know what he really loves you for
It's your brand new leopard-skin pill-box hat
08 Just Like a Woman (04:50)
Nobody feels any pain
Tonight as I stand inside the rain
Ev'rybody knows
That Baby's got new clothes
But lately I see her ribbons and her bows
Have fallen from her curls.
She takes just like a woman, yes, she does
She makes love just like a woman, yes, she does
And she aches just like a woman
But she breaks just like a little girl.
Queen Mary, she's my friend
Yes, I believe I'll go see her again
Nobody has to guess
That Baby can't be blessed
Till she finally sees that she's like all the rest
With her fog, her amphetamine and her pearls.
She takes just like a woman, yes,
She makes love just like a woman, yes, she does
And she aches just like a woman
But she breaks just like a little girl.
It was raining from the first
And I was dying there of thirst
So I came in here
And your long-time curse hurts
But what's worse
Is this pain in here
I can't stay in here
Ain't it clear that--
I just can't fit
Yes, I believe it's time for us to quit
But when we meet again
Introduced as friends
Please don't let on that you knew me when
I was hungry and it was your world.
Ah, you fake just like a woman, yes, you do
You make love just like a woman, yes, you do
Then you ache just like a woman
But you break just like a little girl.
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Altre recensioni
Di NicholasRodneyDrake
In 'Blonde on Blonde' il blues, il country, il rock ed il folk sono amalgamati in maniera stupefacente.
Uno dei migliori dischi di Dylan, sicuramente una pietra miliare del rock.
Di Viva Lì
"Blonde on blonde è il primo LP doppio della storia della musica, praticamente un’opera monumentale."
"C’è tutta l’arte di Dylan, c’è mezza storia musicale americana di inizio anni Sessanta, c’è un modo geniale di concepire la musica adattandola a proprio piacimento."
Di j&r
"Dylan è 'una colonna d'aria' la cui brezza è il respiro e l'ispirazione per la sua arte."
"'Sad-Eyed Lady of The Lowland' è una delle vette massime della musica rock."
Di insolito
Se oggi Cristo fosse vivo, suonerebbe l'armonica, l'immagine perfetta di un hobo; avrebbe una voce sgretolata, rozza, anche incasinata se volete. Ma suadente come poche.
Blonde on Blonde, la meta a cui porta l'autostrada 61.
Di dashell
Con Blonde on Blonde Dylan diventa ladro di fuoco e incendia le aride praterie della poesia.
Disco imprescindibile per capire chi siamo e da dove veniamo.