Non so se lo avete presente, è il prototipo di ex-adolescente mod degli anni sessanta che spinge la sua esistenza veso i '70: basettoni, capello trasandato, faccia da bravo ragazzo... drogato marcio. Auge, ovvero Brian Auger.
Streetnoiser per antonomasia grazie a quel demonio che muoveva le sue dita sopra i tasti avorio dell’Organo fra gli organi, l’Hammond. Oh, lui si che sapeva dove sbattere i polpastrelli sopra quella marea di leve e pulsanti. Acidi, incontenibili, pungenti, contorti, violenti, spigolosi, massicci, distruttivi e scomodissimi ditini.
Herbie Hancock disse di lui: "Brian Auger is one of the best Hammond B-3 artists I ever heard in my life. His technique is awesome and the amount of energy he generates is unparalled and relentless. He is a tremendous talent with a wonderfully warm and compassionate personality, a combination that is hard to beat. He deserves all the accolades". Herbie Hancock aveva ragione.

È matematico, dopo dieci secondi di ascolto state già tenendo il tempo con il piede; dopo venti secondi le mani tamburellano sulle cosce; dopo venticinque secondi la testa dondola a ritmo; dopo altri dieci il bacino ondeggia. E arrivati qui ci vuole un niente perché il vicino di casa vi veda dalla finestra in preda a contorsioni e spasmi apparentemente ingiustificati. Ma non ci potete fare nulla, Auge è irrefrenabile e tremendamente contagioso. E se poi ad accompagnare l’Hammond c’è la voce -strafiga- di Julie Driscoll (strafiga) e la ritmica è affidata ai vecchi compagni di Auger, alias "The Trinity" (Clive Thacker alla batteria e Dave Ambrose al basso), allora probabilmente state ascoltando "Open", e state facendo un gran bene.
Mandate a cagare il vicino indiscreto e continuate con i vostri spasmi, al ritmo di chi ha fatto intendere cosa vuol dire realmente "groove".

Dopo aver ascoltato "Open", se vi ritenete soddisfatti, comprate un LP intitolato "Streetnoise" (sempre di Auger), e preparatevi per una crisi epilettica.

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