Ehm... dovrei parlarvi dei Butthole Surfers. Ma per degli svalvolati simili ci vorrebbe uno strizzacervelli alla Sigmund Freud e  non un fesso qualunque. Su queste pagine virtuali il gruppo texano è già stato recensito più volte ma "Hairway to Steven" del 1988 è ancora vergine.  Per modo di dire, perché i brani sono contrassegnati da disegnini di donne a cosce aperte, cavalli che orinano, siringhe e sigarette accese, non proprio roba da educande con l'imene intatto. Non è una novità, qualcosa del genere l'avevano fatta anche i Cure con "Three Imaginary Boys", usando però oggetti meno censurabili come frigoriferi e paralumi.

Gibby Haynes e compagnia si divertono ancora a provocare anche se sanno che ormai siamo abbastanza scafati e meno impressionabili dalla bruttezza spavaldamente ostentata in copertina e nei solchi del disco. La loro anarchia sonora (punk, electro-industrial, trance, psychedelia, noise, grunge, etc.),  è però ancora una volta un godimento assoluto come i loro show multimediali con le ballerine nude, Gibby che tenta di appiccare il fuoco dappertutto e le immagini di trapianti di organi genitali sullo sfondo.

Prendete il primo brano: devono aver riesumato dalla  naftalina Leigh Stephens dei Blue Cheer con la chitarra solista che imperversa lungo i dodici minuti di un dialogo tra  una voce cavernosa che viaggia al numero di giri sbagliato e quella di una zitella inacidita. Un hard rock psichedelico-rumoristico che si stempera in un suono di campane e dolci accordi di chitarre semiacustiche durante una scampagnata lisergica allietata  da versi di vari animali, gli uccellini, il canto del gallo e le pecorelle. Sublime: terrificante nella prima parte e commovente nella seconda .

Sono i Surfisti del Buco del Culo e  non c'è dubbio (?) che stanno tentando di riscrivere alla loro puzzolente maniera la psichedelia degli  anni novanta. Perché solo con una abbondante dose di acidi si riesce a godere appieno delle chitarre flamenco durante la corrida di "Jonny E. Smoke": la gente che urla dagli spalti e Gibby  è un incrocio tra un predicatore impazzito e un cantante psychobilly in mezzo a  vibrati di chitarra degni di Link Wray. 

In altri brani sembrano molto più "normali" (ergo: meno originali). Rocky"  paga un tributo anche stilistico a qualcuno più pazzo di loro (e pertanto degno del massimo rispetto e ammirazione) che vent'anni prima prendeva l'ascensore per salire al 13° piano  mentre  per  "I  Saw an X-Ray of a Girl Passing Gas" sfornano  una suggestiva ballata ubriacona con Gibby Haynes che una volta tanto canta "in chiaro". Ancora un  rockabilly jazzato, declamato con foga da una cagata di crooner,  e poi la litania semigotica di "Backass" che mi ricorda un altro pazzoide con i denti marci infilatosi  nell' immagine pubblica  dopo aver scaricato le pistole del sesso.

Alla fine ti chiedi per l'ennesima volta  se l'ammasso sonoro senza raccolta differenziata raccattato nel disco con una pala meccanica è solo un mucchio di stronzate oppure  la prova della genialità del combo texano. Ma è poi così importante la risposta?

Tra i loro dischi più digeribili, e se dopo ne aveste bisogno... il cesso è sempre in fondo a destra.

Carico i commenti... con calma