"Le persone che ho fermato per la strada

sinceramente possono testimoniare

quanto amore ho cercato ieri, prima di essermi impiccato

ieri, prima di essermi impiccato"

La vita può finire a ventidue anni? Con Aspettando Godot, Claudio Lolli sembra scrivere il proprio epitaffio. A ventidue anni egli incide un'opera che appare uscita da una lenta maturazione, attraverso sofferenze e crescenti consapevolezze. Eppure a quell'epoca, il giovane cantautore, doveva aver guardato più dalla finestra della propria stanza che effettivamente alle miserie della vita. Le ombre che attanagliano Lolli crescono quindi nella sua Bologna, magari proprio scrutandola da lontano, attraverso delle tende grigie. Potremmo anche immaginarcelo voltarsi di tanto in tanto verso la porta della stanza, poggiando la chitarra o la penna su un foglio di carta, aspettando che Godot arrivi per portarlo via; potrà suonare strano, infatti, ma quest'album che incombe come una lapide sembra in realtà contenere la disperazione di chi cerca qualcosa, di chi vuole, nonostante la depressione, scappare e vivere intensamente. D'altronde, poi, in soli quattro anni Lolli è approdato agli zingari felici, lasciandosi alle spalle il fagotto oscuro dei propri primi anni da adulto. Questo ragazzo ha quindi fatto carta straccia del proprio testamento, quando invece ascoltandone le parole, la chitarra, si giurerebbe di essere davanti a qualcuno che poco dopo se ne è andato.

Questo disco, ancor più dei successivi dell'autore, vanta una spontaneità e una coesione che lasciano sbalorditi. Seguendo il percorso di Godot non si arriva mai a un vicolo cieco: ad ogni ascolto è possibile spingersi ancora più profondamente nel suo labirinto; qualsiasi canzone dell'album è un dono prezioso, più o meno nascosto, che ingiallito dal tempo non ne perde affatto in bellezza. Il pozzo scuro di Lolli subisce anche un arresto con l'ironica invettiva di Borghesia,

"Vecchia piccola borghesia

vecchia gente di casa mia

per piccina che tu sia

il vento un giorno ti spazzerà via."

ma poi, dopo essersi lanciato a bomba contro l'ingiustizia, il treno del cantautore prosegue la propria discesa nelle esistenze disperate dei suoi personaggi, metafore viventi. Il dolce arpeggio di Michel apre i nostri occhi ad anni perduti, da noi mai vissuti, ma di cui abbiamo provato la stessa malinconia, lo stesso dannato desiderio di bruciare intere primavere e tornare a cogliere quei fiori ormai appassiti che avrebbero potuto salvarci l'esistenza. Con L'isola verde Lolli schiude le labbra al suicidio, rendendo un tale gesto ancor più straziante grazie all'accostamento con i sogni di una vita lontana; quella vita che potrebbe nascere su una qualsiasi landa, lontano o vicino da casa, ma che è ormai impossibile raggiungere: il sentiero ha svoltato nella direzione opposta, la mente umana accoglie sempre più prepotentemente il cancro del sistema, l'età adulta sbeffeggia l'ingenutà (saggezza) dell'infanzia. Per il nostro Claudio, il suicidio materiale non è altro che l'esplicita manifestazione di un altro suicidio silenzioso, che non lascia morti - ne parlerà l'anno dopo con La giacca - quello che tutti accettano tacitamente ogni giorno, senza alzare il capo alla miseria interiore e circostante. Continuare a vivere, disinnescando la propria anima, porta poi al Tempo dell'illusione versificato da Lolli nella canzone successiva. Una disperazione maturata negli anni, appunto, che il cantautore esprime più volte utilizzando la figura di anziani, come se egli avesse già preso in pugno tutti i dolori dell'esistenza, aperto il palmo e scoperto un grumo di fango.

Potrei analizzare singolarmente ogni canzone di Aspettando Godot, eppure sarebbe ridondante: il cielo nero che aleggia sull'album è un'onda che sommerge; la cosa più saggia non è rifuggire, guardare l'orizzonte sperando ci sia della luce: è saggio chiudere gli occhi e annegare nella disperazione, magari come fosse un antidoto. Sarebbe anche profondamente ingiusto, in conclusione, giudicare quest'opera solo dalle sue liriche; fin da quando ho scoperto Lolli, sono rimasto ad esempio colpito dalle tonalità uniche del suo cantato. Una voce acuta, spesso roca, che non definirei impassibile ma piuttosto stremata, colma di una disperazione che impedisce di alzare troppo la voce, che impedisce di piangere oppure di gridare. Spesso, ascoltandolo cantare sopra gli arpeggi della sua chitarra, si avverte la liturgia di un fantasma. La chitarra, dicevo, assolutamente: il cantautorato di Lolli merita di essere ricordato anche per il proprio gusto musicale. Talvolta scarno, talvolta commentato da un violino oppure da un piano; versi geometrici, melodici, che cercano il proprio posto all'interno di una metodica composizione. Tutto in Lolli sembra studiato per avvolgere chi ascolta e penetrarlo con uno sguardo disincantato alla vita. Uno sguardo acre, stanco, seppur con ancora un filo di rancore. Per quanto mi riguarda, Aspettando Godot è uno dei massimi capolavori della musica italiana.

"Le baracche hanno lanciato il loro urlo di dolore

circondando la città con grosse tenaglie di vergogna

Ma il rumore delle auto ha già asfissiato ogni rimorso

giace morto sul selciato un bimbo che faceva il muratore."

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