OK, ok. Una volta apprezzavo i Dream Theater, ero un loro fan, lo ammetto. Con "Images and Words" mi ero avvicinato al Metal, e in particolar modo al progressive metal, per poi allontanarmene in pratica definitivamente dopo l'ascolto di band quali Sonic Youth, Pixies, Dinosaur Jr e Pere Ubu. Che ci vuoi fare, gli anni passano, gli ascolti crescono (si spera sempre qualitativamente). Potrò apparire ingeneroso nei confronti dell'ensemble di Boston, ma a conti fatti, oggi come oggi, il Teatro Dei Sogni ritengo rappresenti il non plus ultra della mediocrità e della totale nullità artistica fatta Rock.

Dopo l'ascolto di 'Systematic Chaos', l'individuo che tiene a cuore l'incolumità del proprio udito non solo non potrà sottrarsi dal constatare che esso raggiunge vertici di piattezza creativa difficilmente eguagliabili, ma probabilmente dovrà rivedere l'eventuale giudizio positivo (come il sottoscritto) che si era creato riguardo a dischi quali "I&W" e "Awake". Già, perchè davanti a cotanto scempio, si arriva al punto di sosopettare che forse i Dt non hanno mai avuto nulla da dire, ma che almeno nei primi album partoriti lo dicevano bene. Oggi invece lo dicono pure male, molto male.

Un Tour de force Anti-Arte quindi, è quello che ti attende dopo aver inserito il disco nel lettore. Pronti, via. Ecco la prima accozzaglia di luoghi comuni del progressive metal, "In the presence of Enemies Pt.1" (si, purtroppo c'è anche la parte 2, che è pure peggio, con un giro di basso ed un incipit "ventoso" come quello di "One Of These Days" dei Floyd, incappando in seguito in una sfuriata metal IDENTICA a quella di "The Glass Prison"). Un Intro che richiama direttamente i Rush (in particolare "Freewill"), dove Rudess si "ispira" ad essi persino nel suono del suo sinth. Sto popò di capolavoro continua con un solo di Petrucci rappresentante un incrocio tra quello finale di "Octavarium" e quello di "Overture 1928", prendendone in prestito dal primo l'epicità, e dal secondo la dinamica ariosa. Un fervido esempio di riciclaggio insomma. La seconda parte della canzone prosegue con il non imprescindibile cantato di Labrie, su una linea melodica come ne abbiamo sentite a centinaia dal nostro caro buon vecchio James, in pieno stile post-romantico. Vuoi che ti racconti di "Forsaken"? Ehm, c'è poco da dire... ballatina rockettina Evanescence Style (!) melensa con voce barocca e ridondante.

"The Dark Eternal Night", se possibile, è ancora più insipida delle precedenti: parte con un riff che ricorda la già citata "The Glass Prison", si arriva al cantato con le voci (presumo) di Labrie e Portnoy filtrate, tanto per rendere il tutto più "cattivo", ma raggiungendo invece il risultato opposto di apparire a dir poco patetiche... non incuterebbero timore ad un lombrico. Poi il disastro continua con una serie INFINITA di tecnicismi ASSOLUTAMENTE fini a sè, imbarazzanti, derivativi nei confonti dei dischi precedenti (lo senti quel pezzo di tastiera fratello di "The Dance Of Eternity" e cugino di "Endless Sacrifice"?). E l'assolo Petrucciano? Ma eccoloooo! Lo attendevi con ansia, giusto? E John te lo mette in mezzo... che nausea. "Repentance" è vergognosa per la sua pseudo-psichedelia da mainstream lagnosa e irritante, con quel motivetto di chitarra da cerebrolesi che sei costretto a sorbirti da "Train Of Tought"". E la vorrebbero far passare per chicca assoluta, quando in realtà è una palese manifestazione di cronica mancanza di idee. "The Ministry Of Lost Soul" ti dico solo che inizia (e termina) con una melodia "maestosa" e powettara presa in prestito da "Zombie" dei Cranberries (che tristezza immane), per il resto la solita ultraconvenzionale e stucchevole suite targata DT.

Ah, ma stavo dimenticando quel masterpiece assoluto di "Constant Motion", la summa della "creatività" dreamtheateriana: il pezzo in questione altro non è (nella strofa) che una cover di "Blackened" dei Metallica e un "tributo" a "This Dying Soul" (traccia di TOT che, a sua volta, omaggiava anch'essa l'"Oscurità" di Hatfield & Friends). "Prophets Of War" ha un retrogusto da Muse, melodia ultra-banale e, attenzione, un altro riff rubato ai 'Tallica, ma non dall'inflazionata "Blackened" stavolta (Wow!), bensì dalla celebre "Wherever I May Roam". Quando si dice "non sanno più che pesci pigliare"... un vero e proprio "systematic chaos" insomma.

Mi scuso con te, che stai leggendo, se questa recensione si è trasformata in un gioco a mo' di Settimana Enigmistica "Trova le somiglianze (per nulla) nascoste tra Dt e le altre band della Terra", ma altro non ho potuto scrivere. Piccola (e unica) nota positiva, riguarda la produzione: la chitarra finalmente è scevra da quel terribile effetto "Nu Metal da bambocci quattordicenni acnosi", che aveva attanagliato i due dischi precedenti, pur soffrendo comunque di quel niente affatto raccomandabile sapore "patinato".

Ma la domanda sorge spontanea: a che serve una potenziale buona produzione quando manca il prodotto? Chiedilo tu ai nostri, io ho perso la speranza di ottenere risposta.

P.s.: Una domanda però a LaBrie la pongo... Labrì, ma era indispensabile il look alla D'Artagnan?? Aaaaah, dannato marketing d'immagine...

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