Eclissandosi in un tempo vagheggiato appena, Fabrizio cantava di come al cangiarsi tiepido della stagione ed al non bussar della Primavera, Maria giacesse come oggetto abbandonato, china e tacita, nel Tempio. E di come di metafora in metafora e di sogno in sonno si travasasse la vita.
Ma le stelle che, contendendosi la nerezza del cielo, guidavano un vecchio falegname col suo cammello dal passo sempr’eguale, guidavano ancora il gioco stesso di queste metafore lisce e perfette.
Con parola cesellata ed apofatica, mondata d'alterigia, della morte umana e della vita e del doloroso battere d'un cuore di trucioli e di ferro e delle speranze ardenti e dell'emozione superna che a dirne le ragioni la voce s'impietra; di questo parla Fabrizio, e d'umana sembianza sono la gioia ed il dolore, sopra ad ogni cosa rilucenti in queste parole nitide e terse.
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