Parlandone qui dentro pochi giorni fa mi è venuta voglia di scriverne qualcosa, anche perchè la mia opinione (che so essere minoritaria) potrebbe attirarmi critiche più o meno feroci. Amen, la verità, dicono, funziona sempre.
"Storia di un impiegato" è un bell'album, ma tra tutti i lavori di De Andrè, insieme a "Vol. 8", è quello che mi piace di meno. Per motivi opposti a quelli dell'album del 1975, che trovo forse un po' esangue nonostante due capolavori immortali come "Amico fragile" e "Giugno '73". Che poi, intendiamoci, un album di De André che mi piace di meno merita sempre una valutazione di 4/5, meno è impossibile. Ecco, questo il voto al disco del 1973. Dovessi ipoteticamente suddividere l'opera, direi che la facciata B è di gran lunga superiore alla A. Il problema che ho sempre avuto nei confronti di questo lavoro è: se ascolto "La canzone di Marinella" o "Creuza de ma", pure fra 500 anni mi diranno qualcosa, mi suggeriranno delle emozioni, mi lasceranno (ancora) a bocca aperta, questo album no, perchè è un album politico, figlio dell'epoca in cui è stato prodotto e pensato (il 1973), perchè è troppo dentro i suoi anni, perchè, alla fine, parla di cose di quegli anni lì con quel linguaggio lì. "Creuza de ma" parla all'infinito, "Storia di un impiegato" parla del presente, che oggi è (stra)passato.
Per dire, il Maggio francese. Ora, chi se lo ricorda se hai meno di 50 anni? Figuriamoci, a scuola è già tanto se ti fanno arrivare al 1945 (e so di qualcuno che nemmeno sa se la seconda guerra mondiale l'abbiamo vinta o persa), pensa al Maggio francese, ai movimenti del '68, alla storia di un impiegato trentenne (già qui, all'epoca 30 anni era i 50 di oggi) tentato dal terrorismo. E' come se De Andrè avesse messo la testa in apnea e avesse voluto raccontare ciò che vedeva e viveva senza preoccuparsi troppo di chi, arrivando magari anni dopo, si sarebbe potuto chiedere: chi sono i cuccioli del Maggio?
E fino a qui, le motivazioni del fatto che mi piaccia di meno. A dire il vero non piacque nemmeno troppo all'autore:
«La "Storia di un impiegato" l'abbiamo scritta, io, Bentivoglio, Piovani, in un anno e mezzo tormentatissimo e quando è uscita volevo bruciare il disco. Era la prima volta che mi dichiaravo politicamente e so di aver usato un linguaggio troppo oscuro, difficile, so di non essere riuscito a spiegarmi.»
(Fabrizio De André in un'intervista dalla "Domenica del Corriere" del gennaio 1974)
Ovviamente ha dentro comunque cose bellissime, perchè è pur sempre De André. Guarda caso, funziona meglio nella parte privata rispetto a quella pubblica, fatta eccezione per "Il bombarolo", i brani in cui si racconta il rapporto tra il protagonista e la propria compagna sono i migliori, o comunque quelli che più sono rimasti nella memoria collettiva (e gli unici che De André portò in concerto): "Verranno a chiederti del nostro amore" è poesia allo stato puro, complice il delicato accompagnamento di pianoforte di Nicola Piovani. Così come la conclusiva "Nella mia ora di libertà" che ha tante di quelle frasi, di quei passaggi di testo che si potrebbero riempire pagine di storia musicale senza (mai) aver la voglia di chiuderle: "Uomini e donne di tribunale, se fossi stato al vostro posto ma al vostro posto non ci so stare"; "Da diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni". Insomma, i temi universali (come sempre nell'arte, ogni arte) prevalgono e rimangono di più rispetto alle questioni ombelicali private.
L'album, che si apre con uno strumentale a cui si aggancia "La canzone del Maggio" pare, soprattutto all'inizio, indeciso su che strada prendere. "Al ballo mascherato" sembra una derivazione fin troppo smaccata di una canzone di Dylan (nella musica e nel testo), a cui si contrappone però l'ottima "Sogno numero due", che è un recitato, con un colpo di genio, deandreiano tout court: il ribaltamento di ruoli tra giudice e imputato. Ecco, il genio si vede in queste cose, in questi passaggi che nessun altro autore italiano dell'epoca avrebbe osato (ma, direi pensato), e il discorso iniziale del troppo "dentro i suoi anni" viene facilmente dribblato laddove l'autore tenta di slacciarsi dal voler raccontare il presente e si tuffa invece nel "per sempre" ("Sogno numero due" potrebbe essere stata scritta l'altroieri; "Al ballo mascherato" è davvero anni '70).
Poi c'è un piccolo problema, che riscontrerà lo stesso De Andrè anni dopo: l'aspetto musicale. E' pop, un po' pop-rock, un po' cantautorale, ci sono pure dei (vaghi) cenni prog: musicalmente a me è sempre apparso invecchiatro malissimo, per dire, "La buona novella" di tre anni prima, minimalista e a tratti persino restìo nella sua musicalità, mi sembra arrangiato mille volte meglio, e qui secondo me il 27enne Nicola Piovani, forse mosso dalla giovin età e dal fatto di poter lavorare con De André, si è sbizzarito davvero in troppi arzigogoli sonori che appesantiscono le parole e l'opera in generale. Ben altra veste sonora gli confezionò Mauro Pagani in "Creuza de ma", ma, forse, se Pagani era, ai tempi di "Creuza de ma" nella propria maturità artistica, Piovani no. Ma non puo' essere nemmeno questa una scusa, trattasi infatti dello stesso Piovani che due anni prima arrangiò, in modo esemplare, "Non al denaro non all'amore nè al cielo". E allora, bho, non so, evidentemente gli andava così.
Poi, è pur sempre De Andrè, e se scrivi "Canzone del padre" tutto ti è perdonato (nonostante la lunga introduzione musicale iniziale che appunto..., come si diceva).
Elenco tracce testi e samples
01 Introduzione (01:42)
Lottavano così come si gioca
i cuccioli del maggio era normale
loro avevano il tempo anche per la galera
ad aspettarli fuori rimaneva
la stessa rabbia la stessa primavera...
Carico i commenti... con calma
Altre recensioni
Di francescogenovese
Un album da ascoltare dall'inizio alla fine per avere una visione completa.
Bisogna sempre difendere i propri diritti ed evitare di farsi mettere i piedi in testa.
Di mangoni
La sua ribellione è "prevista" dal sistema, di cui egli è un elemento funzionale, come "i soci vitalizi del potere".
Un album irrinunciabile: i tempi sono cambiati, ma alcune riflessioni, opportunamente attualizzate e contestualizzate, non possono lasciare indifferenti.
Di enbar77
Una protesta al di fuori delle canzoni che furoreggiavano con "Lotta Continua" o le ballate anarchiche pro Pinelli.
Per onorare la memoria di quel genio incontrastabile che saltellando da un bordello ad un palco mediante i carrugi di Genova è diventato il più grande cantautore italiano.
Di majortom79
"Ha una storia e morde davvero"
"Storia di un impiegato non è un’esortazione alla violenza, né una benedizione del terrorismo, ma un’analisi fredda e durissima dei risvolti sociali e psicologici che stanno dietro simili gesti."
Di Knopfler76
"Il giornale di ieri lo dà morto, arrugginito. I becchini ne raccolgono spesso, fra la gente che si lascia piovere addosso."
Specchio di un paese che credeva di essere e invece non è stato, di una musica che era cultura prima ancora di farla.