Il 1968 è un anno di svolta. Sotto il profilo musicale, compositivo e (in un certo senso) anche poetico. Su quest'ultimo elemento è necessario cogliere la prospettiva di notevolissima innovazione che quest'Opera apre di fronte all'ascoltatore, e non dimenticarsi mai che lo stesso Autore (in questo caso come si può avvertire sin dall'inizio delle sue Composizioni limpidamente autoconsapevole del suo talento) non perde di vista lo scenario artistico (internazionale e italiano) della contemporaneità, cogliendone e rileggendone gli spunti intuitivi che egli ha già metabolizzato. Questo, a costo di aprire un (inutile) ulteriore excursus, vale per tutti: il metro più universale di valutazione dell'Opera di chiunque è la sua capacità di non perdere il contatto sintonico con i fermenti della sua epoca.

"Tutti morimmo a stento" è in assoluto il primo concept-album prodotto in Italia, nonchè il primo dei quattro album a tema (Opere a tutti gli effetti) di Fabrizio de André, in cui attraverso una rappresentazione "per quadri" si racconta una storia, o si sviluppa una tematica che per sua natura non è "esauribile" o "incastrabile" nello spazio di una canzone. Siamo sul finire degli anni '60: oltre Oceano i Velvet Underground (del futuro Cantautore Lou Reed) anticipano di un decennio la New Wave americana, oltre Manica i Pink Floyd (del futuro Cantautore "votato all'opera" Roger Waters, e del genio largamente inespresso di Syd Barrett) sviluppando un varco intuitivo dei Beatles apriranno la strada al cosiddetto "Space Rock", genere la cui evoluzione avverrà in maniera praticamente inscindile a quella del Progressive Rock, dei Genesis di Peter Gabriel (massimi esponenti mondiali) e in Italia della Premiata Forneria Marconi (i più autorevoli interpreti italiani). La forma espressiva preferita di tali generi che in questo scorcio di decennio vanno affermandosi è appunto quella del "concept album". Per adottare la definizione dello stesso de André si tratta di una forma canzone "in cui tutti i brani sono uniti tra loro da intermezzi sinfonici e hanno come minimo comune denominatore quello di essere nella stessa tonalità, e di trattare lo stesso argomento". (riportato su http://www.ondarock.it/pietremiliari/deandre_tutti.htm).

La novità musicale assoluta è l'unione, che avviene in un magico punto di incontro, tra il tradizionale arpeggio acustico della canzone di De André e la Canzone Italiana, sancito dalla collaborazione con Gianpiero Reverberi, che trova forma in un'articolazione musicale più complessa, orchestrale, in cui compaiono archi, tastiere, percussioni. Tematicamente l'opera abbraccia un ideale orizzonte che (come suggerisce il titolo) si estende alla morte e alla vita, e all'esistenza umana che tra questi due punti terminali si situa. Per la precisione (è una mia impressione) sembra che l'inquietudine e la fonte principale della tensione drammatica e lirica che attraversa l'intero lavoro sia da rintracciare nella consapevolezza della morte che attraversa la vita, e viceversa, della vita che come frammento, come ultimo fotogramma, come lacrima cristallizzata in un'intuizione poetica eterna, restituisce dignità e bellezza umana alla morte.

L'opera si dispiega in undici episodi, e attraversa vari e policromatici registri musicali e letterari. Dall'overture con il "Cantico dei Drogati", in cui attraverso una visione scenografica assimilabile alle atmosfere dantesche, o ai Profeti dell'Apocalisse giunge la sommessa e disperata invocazione del protagonista ("chi mi riparlerà didomani luminosi / in cui i muti canteranno / e taceranno i noiosi / quando riascolterò / il vento tra le foglie / sussurrare i silenzi / che la sera raccoglie") al tempo stesso depositario della parte più delicatamente sofferta e lirica della Poesia sembra quasi aprire uno scorcio (immaginativamente) autobiografico. Il testo, stupendo,  è stato scritto a quattro mani con il Poeta genovese Riccardo Mannerini; la sinfonia è creata dalla Orchestra Philarminica doi Roma.  Il "Primo intermezzo" musicale, in cui l'arpeggio in minore di De André riacquista il primo piano, sfuma nella "Leggenda di Natale": l'atmosfera è fiabesca, lieve, dolcissima, sottolineata da un canto corale maschile e da delicatissime aperture orchestrali, eppure nonostante ciò (in modo meno esplicitamente dichiartivo de "La Canzone di Marinella") giunge il raggelante finale ("e d'oro e d'argento splendevano i doni / ma gli occhi eran freddi e non erano buoni"). Il "Secondo Intermezzo" apre al punto focale dell'intero lavoro: "Ballata degli Impiccati". L'atmosfera è più "folk-morriconiana" (le suggestioni cinematografiche si estendono anche a Federico Fellini), il testo è tratto dalla ""Ballade des Pendus" di François Villon (poeta "Maudit" francese). L'incedere è scultoreo e tagliente, il testo è il culmine della tensione drammatica, si immagina (cosa mai prima d'allora accaduta) il momento della morte ("Tutti morimmo a stento / ingoiando anche l'ultima voce / tirando calci al vento / vedemmo sfumare la luce"). Il registro sarcastico si fonde con l'avvolgente clima di tetro presagio, ma forse l'Autore De André non scorda che il risvolto di quella morte è, appunto, la Vita. Una sorta di "ode al disprezzo dell'Umanità meschina", o di "pamphlet contro il disprezzo della Vita", per nulla "difesa", ma crudamente, allucinatoriamente, poeticamente "raccontata" attraverso il suo alter-ego: la morte, appunto ("chi la terra ci sparse sull'ossa / e riprese tranquillo il cammino / giunga anch'egli stravolto alla fossa / con la nebbia del primo mattino").

Con il lato B del vinile si stempera (almeno in principio) la tensione drammatica che aveva raggiunto il culmine nel brano citato. "Inverno" non racconta di condannati a morte, non parla di persone, ma di luoghi ("Sale la nebbia sui prati bianchi / come un cipresso nei camposanti / un campanile che non sembra vero/ segna il confine fra la terra e il cielo"). Quasi che quel confine tra un'Umanità priva di altri riferimenti che non all'interno della sua stessa follia, che del suo stesso degrado, possa intuire che c'è una linea di demarcazione tra terra e cielo, una dimensione superiore, a ristabilire distanze e misure, a restituire quiete e silenzio ("Ma tu che vai, ma tu rimani vedrai la neve se ne andrà domani / rifioriranno le gioie passate / col vento caldo di un'altra estate"). Un invito, sommesso, a cogliere in quello stralcio pallido di cielo un (seppur per ora) lontano presagio di un "altrove", nel tempo e nello spazio dell'esistenza Umana. Quasi, si può azzardare, un varco di speranza.
"Girotondo", bizzarra filastrocca in cui un coro di bambini fa da contrappunto alla voce di De André che sembra tentare di rassicurarli sulla paura della guerra, che assume, in un crescendo grottesco e surreale le dimensioni di uno scenario post-apocalittico ("La guerra è dappertutto, Marcondiro'ndera / la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?") fino alla folgorante idea che, essendo la Terra rimasta completamente priva di uomini, saranno i Bambini a giocare come meglio crederanno. Questo gioco, nel coro di bambini inquietante ed evocativo di scenari quasi "Kubrikiani" è appunto la guerra: "La terra è tutta nostra, Marcondiro'ndera / ne faremo una gran giostra, Marcondiro'ndà. / Abbiam tutta la terra Marcondiro'ndera/ giocheremo a far la guerra, Marcondiro'ndà...".
Nell'effetto dell'accelerazione del vinile si avverte il rapporto tra tragico e grottesco: sembra un altro culmine drammatico, ma non lo è: si tratta di un riferimento al Surrealismo e alla cinematografia di Fellini (la giostra è un'immagine ricorrente: il disco in accelerazione è una metafora dell'ebbrezza del gioco che può diventare tragedia).
Dopo il "Terzo Intermezzo" arriva il "Recitativo (due invocazioni e un atto d'accusa)", una invettiva in forma di poesia

"Navigammo su fragili vascelli
per affrontar del mondo la burrasca
ed avevamo gli occhi troppo belli:
che la pietà non vi rimanga in tasca.

 

Giudici eletti, uomini di legge
noi che danziam nei vostri sogni ancora
siamo l'umano desolato gregge
di chi morì con il nodo alla gola.

Quanti innocenti all'orrenda agonia
votaste decidendone la sorte
e quanto giusta pensate che sia
una sentenza che decreta morte?"

Con il contrappunto del Coro delle Basiliche Romane di Piero Carapellucci, la seconda parte del corale si chiude (e chiude l'intero album) con "La Leggenda del re infelice": chi cerca la felicità nella ricchezza, chi cerca la felicità nel dare per avere in cambio, e i versi finali

"Non cercare la felicità
in tutti quelli a cui tu
hai donato
per avere un compenso
ma solo in te
nel tuo cuore
se tu avrai donato
solo per pietà
per pietà
per pietà..."

lasciano un inevitabile, ma un pò più rassicurante, finale aperto.

Commenti

Assieme a "The Future" di Leonard Cohen e "Night On Earth" di Tom Waits "Tutti Morimmo a Stento" di De André troverà una collocazione assolutamente "consona". L'aderenza allo stile Barocco sancisce forse il limite maggiore di quest'Opera, sul piano strettamente musicale. Ma ciò è discutibile, in quanto la Storia non è solo "contemporanea".

Assonanze

Si provi ad ascoltare l'"Album N 6" di George Brassens, o "Technology Won't save Us" dei Sophia, oltre ai citati lavori. Oltre alla tristezza, alla profondità e all'intensità poetica si noterà che l'impiego della parola (che non è più parola parlata ma parola cantata) unito alla Musica (che non è in quanto unita alla parola non è nè Sinfonica,  nè Sacra, nè Classica ma diviene Canzone), per provare a comprendere quanto le distanze (soprattutto temporali) siano assai relative, e le forme (al di là dei contenuti poetici e letterari) siano trans-temporali.

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