I tedeschi Faust sono uno dei gruppi europei più sottovalutati di sempre e resta tuttora uno dei più nascosti progetti geniali del nostro secolo.
Etichettati inevitabilmente come band di genere "kraut-rock", in realtà già dall'album di esordio i Faust dimostrarono di avere un'idea dell'arte sonora estremamente personale e originale, dando vita a qualcosa che del cosiddetto movimento kraut aveva solo alcune radici.

Se pensiamo che l'album "Faust" è del 1971, il livello qualitativo delle idee in esso contenute è sbalorditivo. La miscela di trovate strumentali, i testi bizzarri, le dissacrazioni più o meno dissimulate dell'estabilishment pop-rock dell'epoca, sono quanto di più divertente e inquetante al tempo al tempo stesso si potesse immaginare. E nonostante l'atmosfera sonora sia improntata su un mood che oggi può sembrare datato, nel complesso l'opera resta altamente godibile e ricca di spunti sempre attuali.

Il disco in vinile comparve agli occhi dei fricchettoni di inizio decennio in modo sorprendente: una busta di acetato trasparente con sopra stampata la radiografia di una mano. Dentro un LP in vinile trasparente con l'etichetta argentata, senza alcuna scritta. Titoli e testi stavano tutti su un altro foglio di acetato - sempre trasparente - stampato in rosso vernice.
Ancora nel 2006 questo è uno dei packaging discografici più intriganti e riusciti nella storia del disco.

Ma visto che non bastava il packaging a rendere interessante un progetto nuovo, i Faust di Rudolf Sossna e Jean-Hervé Peron sfornarono lunghi brani crepitanti e pieni di accenti spiazzanti, che anticipavano di quasi vent'anni strutture musicali che avrebbero poi percorso l'evoluzione del rock progressive e dell'art-rock in genere. Facendo uso della tecnologia senza risultare elettronici tout-court, sfruttando comunque gli strumenti elettrici ed acustici, manipolando e rovesciando le finalità di voci e liriche, diedero vita ad una sarabanda di onirismi circensi e dadaisti che cattura in un vortice di sensazioni e visioni incredibili.

Cominciando con una "mazzata" ai più famosi ritornelli di Beatles e Rolling Stones, che emergono a fatica da una cacofonia di suoni atomici (quasi a decretare la costruzione di una nuova logica musicale a partire dalla disintegrazione dei vecchi-nuovi punti di riferimento) il brano "Why don't you eat carrots?" prosegue con un breve balletto pianistico di gusto kurtweilliano e quindi con una marcetta elettro-clownesca dal sapore oscuro, in cui si manifesta il grandissimo gusto strumentale della band. A seguire una samba dal testo grottesco che tra trombe e fischi elettronici sempre più dirompenti arriva ad un lungo momento cinematografico, in cui lo sferragliare di un treno si assomma al dialogo sommesso di due passeggeri (e a tratti riemerge la samba con i fischi crepitanti).
E' impossibile, in ogni caso, descrivere questa musica. Bisogna ascoltarla. "Why don't you eat carrots?" è una composizione assolutamente geniale e fuori da ogni schema.

"Meadow Meal" è la seconda traccia: altra incursione nei meandri labirintici dell'inventiva umana, che dopo un incipit rumoristico a base di corde pizzicate, flauti e bottiglie, piccole percussioni, si apre su una bellissima ballad di sapore nordico che evolve in un pazzesco pezzo rock per poi richiudersi sulle calde malinconiche note vocali del tema principale. Io dico solo che di brani così negli ultimi trent'anni ne sono comparsi davvero pochissimi... l'intensità artistica è palpabile e resta nella memoria profonda per tutta la vita.

Termina il lato A una magica sospensione morriconiana di tastiere che coronano i suoni di un temporale estivo in una foresta. Sublimi brividi emozionali, qui. Basterebbe dunque il lato A di "Faust" a decretare la grandezza di questo progetto.

Sul lato B, però, i teutonici regalarono una loro performance live intitolata "Miss Fortune", dove le tematiche e le invenzioni della prima parte si esprimono in modo ancora più imprevedibile e danno l'esatta misura delle capacità compositive del gruppo. Bizzarra come non mai, qui la musica si fa forse più mitteleuropea e vintage, arricchendosi di dettagli retrò mescolati a deliri elettronici e canti semi-ubriachi dai sinistri risvolti. Una lunga passeggiata oltre i confini del kraut-rock che va centellinata con più cura: meno immediata rispetto ai pezzi che la precedono, ma ugualmente sconvolgente.

Dei Faust si è detto molto, ma evidentemente non abbastanza per imporre al mondo musicale la loro importanza.

Questo è un disco che può cambiare il tuo modo di capire la musica.

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