Wümme, Germania, 1970-71. 

Reinventare il modo di concepire la musica. Spazzare via le strutture musicali precedenti, voltare pagina. Faust.

Una sberla scottante, veloce, che schiaccia letteralmente i Beatles e i Rolling Stones.
Qualcuno vuole delle carote?

Tra i rumori assordanti vengono rievocati suoni spaziali, lontani. E' la terza guerra mondiale, come stare seduti al centro di una bomba atomica. Come indossare cuffie di uranio, felicemente mangiando carote.
Ricordate le classiche strutture intro-verse-chorus-verse-chorus-bridge-solo-coda?
Bene. Cestinatele pure, tutte. Ed aprite le orecchie.

Ci si trova davanti ad uno dei più grandi e sconosciuti dischi di sempre. Solamente il fatto che questo gruppo è stato ignorato talmente tanto ci dovrebbe far inarcare le sopracciglia. Ma vedi che forse forse non è poi così strano.
Chi avrebbe potuto, sopratutto nei '70, capire la portata sconvolgente di questo disco e la genialità messa in mostra in esso?
Come avrebbe potuto raggiungere la fama un gruppo composto da individui schivi, poco disposti a farsi notare? Impossibile, nel mondo dove (per la maggior parte) raggiungere il successo significa vendersi alla società. Prostituzione artistica.
Il "folle volo" del Pugno tedesco, che non ha accettato tutto questo.

E quale migliore soluzione se non le carote? Come i conigli, corri corri prendi prendi scappa scappa. Il caos regnante della prima traccia si alterna tra attacchi improvvisi di altri strumenti. Assalto armato.
Poi i momenti più umani, un semplice scambio di parole fra individui X. Mai si era osato tanto nel mondo della musica, commerciale e non. Ma questa non è musica. E' un'altra storia, racchiusa in quella Germania oppressa dai ricordi, dai rimorsi di qualcuno, dalle ferite non ancora completamente rimarginate. Il Caos.
Quello che era racchiuso nella terra, nei mari, dappertutto. Anche negli animi di questi musicisti ultraterreni, il cui merito maggiore è stato (forse lo è ancora) quella capacità di trasmettere il Caos anche nell'ascoltatore ignaro, che vive in un altro mondo, lontano da tutto ciò. Eppure si riesce a collegare la propria mente a quel preciso momento in cui questa Opera veniva concepita, un po' del Caos fuoriesce per entrare dentro di noi.
E tutto sembra a tratti uno scherzo, poi mille grammi di serietà vengono iniettati nelle nostre orecchie.
La voglia di unirsi a tutti quei canti da ubriachi, canti da bar, di gente spensierata, apparentemente felice.
Indescrivibile. Do you want to climb down ?

Poi, dopo tutto questo, l'atomo si ferma per qualche attimo. Una chitarra acustica comincia a emettere suoni.
Semplici accordi. Qui sembra tutta un'altra storia. Infatti lo è. La domanda, la più importante, quella a cui non sappiamo dare ancora una risposta. Pronunciata come se niente fosse. Devastante.

"Are we supposed to be or not to be?"

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