In primis la copertina. Uno dei simboli più potenti della musica tutta, icona della grandezza e della miseria dell'uomo.
Il primo dei Faust, l'omonimo, pubblicato nel 1971, è uno dei testamenti più nobili del rock, uno dei capolavori della musica, senza etichette, senza generi, pura anarchia sonora. Dei Faust, fino al revival dei novanta, si è saputo poco, i loro lavori erano attorniati da un'aura misteriosa, per come venivano concepiti, per gli strumenti usati, e per l'assoluto riserbo dei componenti della band. La loro musica, tra dadaismo di chiara matrice zappiana, rock progressivo, cabaret brechtiano, e avanspettacolo berlinese, è un omaggio alla cultura post-nucleare, impregnata di un pessimismo nerissimo e di poesia sublime. I Faust sono magnificenza e miseria, pazzia ed estasi, onnipotenza e debolezza. Forse perché figli di una Germania in quegli anni allo sbando ideologico, divisa tra occidente e oriente, tra un passato terribile ed un presente fosco, tra rigurgiti neo-nazisti e autonomie operaie, o forse perchè semplicemente dei geni, i Faust hanno saputo creare un linguaggio nuovo, potente, che li colloca tra i più grandi di sempre.


Questo leggendario disco si apre con un fischio, fastidioso, inquietante, con le prime battute di "Satisfaction" e "All I Need Is Love", che riemergono dal caos, che lasciano libera l'interpretazione se questo sia un omaggio o uno sgarbo ai gruppi di successo del periodo. Aspetto poco importante, perché "Why Don't You Eat Carrots" inizia a prendere consistenza, ritmo marziale, ritornello ossessivo, droni di fischio che disturbano, fino ad un colloquio tra un uomo ed una donna, che sembrano a loro agio. Ma niente nei Faust dura, soprattutto la pace, e il pezzo riprende, ancor più incalzante, terribile e disturbato da quel fischio, loro marchio. "Meadow Meal" è un maestoso requiem all'uomo occidentale. Dopo una serie di giochi rumoristici e vocali ed un epico assolo chitarristico, un organo si eleva maestoso nella pioggia, omaggio di una civiltà che fu. La terza ed ultima suite, "Miss Fortune" è il capolavoro nel capolavoro, geniale, costruita su modulazione e contrappunti, rumorismo, minimalismo. Follia al potere, follia che trascende fino ad un cantato ubriaco ancor più folle, affresco dell'uomo moderno che scappa dalla realtà e da se stesso. Si alternano silenzi, rumori assordanti, umanità e alienazione.


Nel descrivere la musica forse ho tralasciato la poesia, che pur abbonda in questo disco, l'ho solo citata, ma non ve ne ho mai fornito le prove. La miglior prova è riportare la prima strofa che chiude "Miss Fortune", recitata da due voci, che si alternano ad ogni parola. Alla prossima, e ascoltatevi i Faust...


"Are we supposed to be or not to be.."

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