Nei primi anni '70 orde di menti inacidite avevano l' ottima abitudine di mettere in musica i loro mondi allucinati, in cui potevano circolare liberamente forme di vita vagamente antropomorfe, elfi che portano al guinzaglio il loro rinoceronte in giro per il bosco, alieni miti e benevoli come neanche Etitelefonocasa. Ma soprattutto poteva circolare l' idea che i sani e cristiani princìpi delle belle famigliuole stile mulinobbianco non fossero altro che una colossale ipocrisia. In molti casi da questo coacervo di chitarre, delirio e libertà venivano fuori dei bei dischi. In casi più rari, ne uscivano dei capolavori assoluti. Uno di questi è Aqualung, album dei Jethro Tull del 1971. E’ la storia di un barbone – Aqualung, appunto – visto come prodotto di un’ umanità autogenerata e distruttiva (“In principio l’Uomo creò Dio, e lo creò a propria immagine[…]e l'Uomo formò Aqualung dalla polvere della terra, e una schiera di altri simili a lui”).


La titletrack apre l’ album con un riff che è Storia , l’unico in grado di procurarmi una piena erezione oltre a quelli di “fuma sul cesso” di Ian Cazzoduro Gillian e “smells” del Kurt Douglas. Mentre Aqualung se ne sta seduto sul parco intento a smocciolarsi e a guardare ragazzine, il pezzo sfuma in un intermezzo acustico, prima di tornare alla carica con un assolosticazzisespacca.
Il pezzo dopo, Crossed Eye Mary, è la storia di una puttana strabica ma dal buon cuore, l’unica persona a prestare un po’ di attenzione ad Aqualung. La canzone si apre con un un duetto basso-flauto (strumento sempre utilizzato dai Jethro Tull), per poi tramutarsi nella canzone più “dura” del disco.
Seguono tre pezzi acustici di rara bellezza ed eleganza (Cheap Day Return, Mother Goose - in cui la parola viene ceduta allo stesso Aqualung – e Wond'ring Aloud).
Nella seconda parte del disco, con una netta contrapposizione, l’ attenzione passa da Aqualung al rapporto tra borghesia e religione. E qui sono cazzi. Perché i nostri affezionatissimi mostrano tutti i limiti della Chiesa, con la sua ipocrisia e strumentalizzazione (Dio non è un meccanismo a molla che può essere caricato ogni Domenica, dice “Wind Up”). Il tutto in un misto di hard rock, progressive e folk tradizionale inglese, che qui, ancora più che nel successivo “Thick as a Brick”, trova il suo aureo equilibrio e lo rende un disco che – per la puttana!– non può mancare negli scaffali di un individuo con oneste capacità cerebrali.

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