Tre anni dall'inizio del ventunesimo secolo, i Crimson si godono il folle spettacolo imbastito dagli uomini schizoidi.

Il titolo "the power to believe" sembra quasi richiamare un ipotetico concept cominciato col primo disco, per cui nonostante tutto abbiamo ancora una grossa capacità/potere: la speranza.

L'urgenza espressiva di sir Robert Fripp ha portato alla musicazione di queste undici tracce, a cui sono poi stati aggiunte le visionarie liriche di Adrian Belew, pienamente nello stile dell'opera. Opera fredda, apparentemente di sterile sperimentazione sonora, con loop chitarristici che li caratterizzano da Discipline, uniti al riffing di una rivisitazione di Red nell'era del digitale.

Il cd contiene un po' di metal, un pop che non è pop, elettronica e musica d'ambiente; non sono altro che strumenti retorici privi del loro significato originale, e questa mistura perfettamente equilibrata (o quasi) di suoni si fa portatrice del messaggio positivista e molto naive dei nostri, luce umana attraverso la meccanicità moderna.

L'intro a cappella, con voce sintetizzata di Belew apre "Level Five", Grand Guignol del rock, chitarre, synth, warr guitar, (di Trey Gunn) e percussioni reali e campionate (ad opera dell'ottimo Mastellotto), provocano una deflagrazione controllata, ma dal fortissimo impatto sonoro. "Eyes Wide Open" è l'ipotetico singolo, canzone bella e vellutata che placa l'atmosfera creata in precedenza, anche se il testo ermetico di Belew è preludio alle tematiche (liriche) dell'album. "Elektrik" e "Facts Of Life" sono altre due sperimentazioni sonore, che suonano però come un po' ritorte su loro stesse; la prima è uno strumentale in crescendo costruita su un loop di chitarra di Fripp, la seconda è un brano che procede secondo la canonica forma canzone, ma ricca di dissonanze strumentali e giochi vocali del cantato, sostenuto da suoni chitarristici stranianti ed elaboratissimi.

Si entra nel vivo dell'opera con la seconda parte di "the power to believe", (a tutti gli effetti la prima) in cui abbiamo percussioni elettroniche, un ritorno ai soundscapes qui perfettamente impiegati, e ritmiche raga-rock assolutamente intriganti. Prosegue il discorso la fantastica "Dangerous Curves", articolata su battiti in 4/4 elettronici, incorniciati poi progressivamente dal lavoro degli strumenti fino all'esplosione finale, a simboleggiare la frenetica corsa della modernità, che si infrange inevitabilmente contro gli scogli della natura umana, che non può passare in secondo piano.

"Happy With What You Have To Be Happy With", titolo scioglilingua che rivela la natura dissacrante dei testi di Belew, una filippica contro il consumismo e la stupidità dei meccanismi di massa, musicata secondo scuole musicali figlie dei king Crimson, con incedere quasi industrial e pre ritornello di memoria Nine Inch Nails. L'opera si chiude con la terza parte della title track, strumentale basso-chitarra notturno, in cui risuona sfasata la frase dell'intro, che lascia poi il posto all'outro, che finisce il disco com'era iniziato.

Tirando le somme, un lavoro piacevole e quasi mai pesante, la sperimentazione non è quasi mai autoindulgente o tanto pesante da inficiare la musicalità dell'opera, il che, dopo i due lavori precedenti, non è cosa da poco. Disco bello anche perchè astruso alla moderna scena musicale, che vive di magniloquente trascurazione del particolare, che costituisce invece la principale forza di questa ultima fatica della migliore prog band di sempre.

Da ascoltare almeno una volta, come naturale proseguimento di un percorso musicale mai fermo su se stesso.

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