"Jonathan Davis non avrà creato un capolavoro questa volta, ma mai come in questo caso ha saputo farsi ascoltare"

Io credo che ogni decade, a partire dagli anni '60, sia stata di importanza vitale per la nascita e lo sviluppo di quella che definiamo la musica moderna. I '60 sono stati gli anni della nuova era, i '70 quelli dei nuovi generi (metal in primis), gli anni '80 sono stati il naturale conseguimento del decennio precedente e i '90 sono stati gli anni della sperimentazione. Escludendo dal discorso, com'è giusto che sia, i suoni del nuovo millennio, che più che allo sviluppo stanno portando alla deficienza totale masse e masse di ascoltatori, non posso non citare in quanto a sperimentalismi i KoRn. In realtà la stessa band è sinonimo di esperimento, poichè, sin dalla sua nascita fino ai tempi moderni, ha sempre cercato di imboccare nuove strade e a volte con pieno successo.

"Issues" è forse l'album più sperimentale del gruppo di Baskerfield e allo stesso tempo quello più caratteristico. Ci si allontana dai sound primordiali, lo stesso Jonathan Davis non è più lo stesso di un tempo, è più maturo, più disposto a rischiare, ma non ha ancora perso la voglia di picchiare forte con la sua musica. E allora via il "ghibberish" (stile canoro di Davis, che con twist aveva raggiunto la sua massima espressione), via le grida disperate e straziate; si aprono ora le porte a sound più cupi, più melodici e, la maggior parte delle volte, più "easy-listening", ma non per questo di scarsa qualità. "Issues" d'altronde rappresenta anche la linea di demarcazione per band dalla grandezza all'ingresso ad una nuova realtà, dove i KoRn fanno molta più fatica a risultare convincenti: è il canto del cigno. Tuttavia a qualsiasi ascoltatore, che desideri avvicinarsi per la prima volta al gruppo, l'album va caldamente sconsigliato, perchè, troppo diverso dagli altri, spinge chi lo sente ad innamorarsi di una band che in realtà non esiste.

Il disco può essere diviso in due parti: la prima conta i sette brani iniziali, la seconda i rimanenti nove. La differenza sta nel fatto che, mentre nella prima sezione i pezzi presentano strutture molto diverse tra loro, proseguendo, le canzoni iniziano a risultare tra loro troppo analoghe. Già da questo si può capire come più si va avanti nell'ascolto, più la qualità complessiva diminuisce (senza mai però andare sotto la sufficienza). Caratteristica esclusiva di questo nuovo lavoro sono gli interludi, cinque in tutto, distribuiti per tutta la durata del disco, tanto brevi quanto interessanti. In particolare "4U", un canto straziato di meno di due minuti, suscita all'ascoltatore un misto di malinconia e rassegnazione. Per quanto riguarda invece i brani, c'è da dire che questa volta i quattro di Baskerfield hanno saputo scegliere bene i singoli da estrarre: delle punte di diamante di un album già complessivamente ottimale. "Falling Away From Me", "Make Me Bad" e "Somebody Someone" rappresentavano l'unica buona ragione per rimanere costantemente sintonizzati su MTV nel 1999. Se da un lato abbiamo la opening-track ("Falling Away..."), che già da sola riassume tutto quello che è contenuto all'interno del disco, proclamandosi come fenomeno mai ripetuto in tutta la carriera musicale dei KoRn, dall'altro abbiamo la traccia 11 ("Somebody Someone"), un perfetto connubio tra melodia e cattiveria, che riesce brillantemente ad evitare di sfociare nel banale per tutta la sua durata. Affascinante anche "Beg For Me", che, sebbene non si distingua tra le maggiori opere composte dalla band, strega grazie alla sua sfacciata agressività, diventando un perfetto inno da head-bangers. Si arriva poi alla cosiddetta seconda parte del disco. Intendiamoci, nulla di biasimabile nel complesso, ma non ci si può non accorgere della natura prettamente riempitiva di queste ultime tracce, ancora più evidenziata dal fatto che il gruppo ha scritto, registrato e inciso quello che è ancora oggi il loro album più lungo in appena più di un anno.

Genericamente lo schema seguito dai pezzi presi in questione è quello tipico dei brani nu-metal, ma proposto al contrario; pertanto abbiamo strofe caratterizzate da riff tranquilli e melodicamente preponderanti, distrutti improvvisamente da ritornelli furiosi e sonoramente pesanti. E da questo ci si rende conto anche di un altro aspetto lampante: è la rabbia la vera protagonista di "Issues", che pervade ogni traccia con ognuna delle sue sfaccettature. Si può scegliere tra l'ira "disperata" di "No Way" e il furore senza pietà di "Let's Get The Party Started", o fra la rabbia sadica di "Wake Up" e quella mista a rassegnazione di "Counting"; sta all'ascoltatore in questo caso decidere quale pezzo fare suo. Questo è quanto.

Con "Issues" è stata aperta una finestra che purtroppo si è sbarrata per sempre già con l'uscita di "Untouchables". Una sorta di musica "psico-somatica", un "delirium metal", un album che fa sentire sulla propria pelle tutte le emozioni che desidera... e non sono sensazioni di gioia. Jonathan Davis non avrà creato un capolavoro questa volta, ma mai come in questo caso ha saputo farsi ascoltare. 

Voto: 7

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