Non voglio essere inopportuno nel dire che i Korn erano, sono e saranno la band più discussa e criticata al mondo: sempre sulla cresta dell'onda e allo stesso tempo sull'orlo del precipizio, dalla fama mondiale alla smarrimento lungo la strada di alcuni componenti, segno per alcuni critici e vecchi fan che stanno attraversando la fase discendente della loro carriera, almeno in chiave artistico-creativo. Teoria quest'ultima che sembrebbe alquanto valida soprattutto dopo l'abbandono di Head, la produzione del discusso "See You On The Other Side" e la pseudo-pausa di riflessione David Silveira proprio durante le sessioni di questo "Untitled".

Le premesse per l'ennesimo passo falso della band californiana c'erano tutte compresa la conferma del team di produzione di "SYOTOS", ma con i Korn nulla è scontato. Come l'araba fenicia che i korn risorgono dalle loro ceneri, dove per ceneri intendo gli episodi positivi di "SYOTOS", quelle cosiddette canzoni sperimentali che si estraneavano dalla banalità di quell'album.

L' "Untitled" è qualcosa che a primo impatto non pensi essere un prodotto di stampo korniano un corpo quasi estraneo alla loro discografia, ma rimane qualcosa di epico ed innovativo paragonabile a qualche espressione artistica che va al di là della musica stessa (un film, un dipinto... ), non lo si può ettichettare catalagore in un genere o paragonare con altri album ed artisti, le sonorità ammiccano all'industrial con innesti elettronici da parte della produzione ma è presente un forte taglio prog nelle canzoni e il marchio prettamente Korn permane nell'aria.

La caratteristica che colpisce a primo ascolto è la particolare lentezza dei brani che conferisce all'intero album un alone di tristezza e malinconia, con questo non voglio dire che i brani non sono pesanti tutt'altro. Il protagonista indiscusso di quest'album è Jonathan Davis le cui doti canore sono state esaltate da una produzione mai così funzionale a lui: Munky non cerca più il riffone granitico in ogni canzone e decide di usare tutte le chitarre (mandolino compreso) che possiede per quest'album risultando creativo e tecnico come non mai, lo stesso dicasi per Fieldy che abbandona lo slap funky in favore di un groove molto basso conferendo un forte taglio dark all'intera opera.

Ci sono due importanti novità nella sessione di produzione: sua maestà Terry Bozzio alla batteria in alcuni brani e l'innesto del tastierista-turnista Zac Baird, quest'ultimo fondamentale nell'evolversi di ogni singola canzone con le nuove sonorità da lui portate. Le tematiche dei testi sono sempre autobiografiche ma completamente diverse rispetto alle produzioni precedenti: amore, affetti familiari e sociali.

Passo alla descrizione della sensazioni che ho avuto alla ascolto delle singole tracce:

"Intro", sonorità circensi che ci invitano ad assistere lo spettacolo;

"Starting Over", struggente e malinconica con il grido a Dio di Jonathan "come take me" nell'ending;

"Bitch We Got A Problem", schizzofrenica dal ritmo coinvolgente;

"Evolution", perfetta alchimia tra sintetizzatori e ritmiche per un brano che tratta tematiche sociali;

"Hold On", la tipica canzone che ti incoraggia che ti dice non ti arrendere non solo con le parole;

"Kiss", stupenda semi-ballad dai toni tristi e melaniosi, soave jonathan accompagnato dal piano di Zac spezzato dalla chitarra distorta in power-chord korniani di Munky nel chorus, canzone unica e di rara bellezza;

"Do What They Say", l'emblema del disco canzone lenta ma allo stesso tempo pensate, sussuri intrecciati a growl Jonathan impetuoso;

"Ever Be", lenta triste e dannatamente prog, ottima da portare live come manifesto di quest'untitled;

"Love & Luxury", l'unica nota stonata, brano che poteva stare benissimo fuori dalla tracklist in favore di qualche b-side, brano leggero e divertente non risulta omogeneo con il resto dell'album, il testo è esplicitamente indirizzato a Head;

"Innocent Bystandar", grandissimo groove industrial da headbagger;

"Killing", in questo brano tutti i musicisti si esaltano, grandissimo sound con repentini cambi di ritmo;

"Hushbye", il mandolino ci accompagna nei meandri sonori inesplorati dai Korn, ancora una volta grandissimo Jonathan con i suoi cambi di tonalità e di registro vocale;

"I Will Protect You", epica con il manifesto di Terry Bozzio nell'intermezzo, questa canzone potrebbe far nascere un nuovo genere musicale.

Disco sconsigliato:

- a chi si aspetta un "Issues" o un "Life is Peachy" perchè si estranea e sembra negare l'intera produzione precedente

Consigliato:

- a chi ha amato come me quelle canzoni di SYOTOS ("Love Song", "Seen it All", "Tearjerker", "Throw Me Away" e le b-sides) dannatamente dark e tristi

- a chi non è prettamente un fan dei Korn ed è affascinato da sonorità ricercate

Ogni canzone ha una sua anima ma unanime dicono Korn.

Creativo ed Unico.

Lento e Triste.

Da non sottovalutare.

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