"Physical Graffiti" più che il successore di "Houses Of The Holy" è il diretto frutto dei cinque capitoli che lo hanno preceduto. La lavorazione di questo disco è iniziata nel novembre del 1973 a fasi alterne, riprendendo definitivamente tra il mese di gennaio e quello di febbraio dell'anno successivo, passando anche attraverso crisi intestine (...tra cui quella per cui Jones aveva preso una pausa per riflettere in merito alla sua dipartita dal gruppo!), risoltesi positivamente.
Di non poco conto è la gestione dell'ostile atteggiamento tenuto dalla stampa, a cui la band non può far altro che rispondere con i fatti. Quando il Melody Maker proclama i Led Zeppelin come miglior gruppo dopo che per otto anni tale riconoscimento era spettato ai Beatles, che a loro volta vedranno ancora superarsi dagli stessi Zeps soverchiando il record di afflusso di persone paganti ad un concerto (le 55.000 anime in delirio allo Shea Stadium di New York nel 1965), con un infuocato spettacolo allo stadio di Tampa (Florida) dove i paganti arrivarono a quota 56.800. Il lavoro in questione (questa volta un doppio album) che viene accolto in maniera entusiastica incassando quasi 15 milioni di dollari di sola prevendita, prevede anche una tournée di supporto, con una squadra di 44 roadies necessari per far procedere tutto senza intoppi.
L'arduo compito di introdurci al primo disco è lasciato a "Custard Pie", il cui inizio impetuoso ben riscalda l'atmosfera per far sviluppare un insieme musicale dallo stampo energico, ove il clavinet di Jones e la fisarmonica di Plant trovano una perfetta collocazione. "The Rover" si apre con i colpi di tamburo di Bonham che dialogano in un continuo crescendo con la "nerboruta" chitarra di Page, che finisce per generare un riff in puro ZZTop-style, con una verace interpretazione vocale in cui Plant musica con ardore uno dei suoi testi più filosofici ("And our time is flyin', See the candle burnin' low. Is the new world risin' From the shambles of the old? If we could just join hands, If we could just join hands: E il nostro tempo stà volando, Guarda la candela che brucia lentamente, che un nuovo mondo stia sorgendo, Dalle rovine del vecchio? Se stingessimo le mani, se stingessimo le mani"). Con l'ascolto di "In My Time Of Dying" si può dire di assistere ad uno dei capolavori in assoluto della band! E' un brano composto a otto mani dai quattro membri, in cui la carica vocale ben si lega alla stridente e nel contempo armonica bottleneck, così come il trepidante basso fa un tutt'uno con l'imponente drumming, consegnando a chi ascolta undici minuti di puro orgasmo uditivo.
Se "Houses Of The Holy" (che come "The Rover" è proveniente dalle sedute per "Houses Of The Holy") è un ammiccante brano che riflette spensieratezza e beatitudine, "Trampled Under Foot" (di ispirazione dichiaratamente Wonderiana) si muove su ritmiche godibilmente funky, che vedono nell'accoppiata chitarra/tastiere gli strumenti guida per uno dei brani dal testo più ardito ("Check that heavy hetal underneath the hood Baby, I can roll all night Believe, I got the proper tools, talkin' about love Talkin' about love, talkin' about...= Controlla questa belva sotto il cofano Bella, posso rullare tutta la notte Credimi, ho gli attrezzi giusti, parliamo d'amore Parliamo d'amore, parliamo"). L'articolata "Kashmir" è il punto d'incontro tra due culture musicali fortemente diverse tra loro, come quella occidentale e quella orientale, in cui si vengono a condensare gli elementi tipici della musica della band, dalla chitarra pilota alle piene parti ritmiche, questa volta ancor più valorizzate da una sezione archi in grado di conferire una esemplare maestosità.
Il secondo disco è idealmente collegato alla chiusura del primo, con una composizione come "In The Light", in cui il clima surreale e metafisico si confonde e miscela con un vigore più misurato, anche per il ruolo più solenne interpretato da Plant. Di seguito la pacatezza dello strumentale acustico "Bron-Yr-Aur" e la posata "Down By The Seaside" (riesumate entrambe dalle sedute di registrazione di Led Zeppelin III), temprano ancor di più il clima moderatamente vivace apprezzato fino adesso. Senza dubbio uno dei migliori episodi ha il nome di "Ten Years Gone", non tanto per il piacevole intreccio melodico ordito o le distinguibili sovraincisioni, ma per quella professionalità pubblicamente esternata nel passare in maniera scambievole tra contesti acustici ed elettrici. "Night Flight" è un rock puro e trasparente che và dritto al cuore, mentre "The Wanton Song" un chiaro esempio di adrenalina allo stato puro, riproduce alcuni dei minuti più solidi del disco, gagliardamente hard almeno quanto il testo che l'accompagna ("With blazin' eyes I see my tremblin' hands, When we know the time has come. Lose many senses, lose command. Feel your healin' rivers run = Con occhi scintillanti guardo la mia mano tremante, Quando sappiamo che il momento stà arrivando. Perdo molti sensi, perdo il controllo. Sento scorrere i tuoi fiumi benevoli").
L'allegra atmosfera di "Boogie With Stu", palesa che anche chi ha composto brani che hanno fatto accrescere il valore artistico della musica rock, ha bisogno di momenti come questi, per sfogare quella capacità di improvvisazione anche disordinata in cui la compagnia dello schietto Ian Stewart (piano/keyboarder man, il sesto membro degli Stones per intenderci!) non può che aiutare a manifestarsi nella sua forma migliore. Una altra rapida scorreria in campo acustico è data da "Black Country Woman", che ripropone in maniera più scarna il blues delle origini, fatto ancor di più risaltare dalla fisarmonica di Plant. La definitiva conclusione a questa ulteriore fatica discografica è affidata a "Sick Again" (sfacciatamente dedicata alle L.A. Queens che negli U.S.A. li seguivano un po' ovunque), una traccia virile e dinamica, che non può che rappresentare la perfetta conclusione, quasi come una firma in calce ad un patto irrevocabile.
Una doppia release che conferma ancora una volta lo stato di grazia dei quattro componenti del dirigibile, sempre capaci di creare musica degna del significato più nobile di questo termine, quasi come se per incanto, fossero stati delegati consapevolmente da un'Entità Superiore a svolgere una missione che in pochi avrebbero portato a termine:....... Forse quella di far rifulgere tutto ciò che avrebbero reso sonoramente udibile.....
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