I Muse non deludono.

Siamo già al loro 4° album, e a differenza di tanti colleghi che negli ultimi anni hanno fatto il botto, la qualità della loro musica non è scemata (come con i Korn, con l’ultimo di Marilyn Manson, e un pò con il 3° dei Vines) o degenerata (il 3° dei Coldplay [eccetto alcune canzoni]).
L’evoluzione del loro suono è giunta al punto dell’abbandono di molte ridondanze che accentuavano il pathos di ‘Origin of Symmetry’ e soprattutto ‘Absolution’ (album abbastanza potente e catartico) in favore di brani ancora più solidi e molto molto allettanti: questo forse perché ora le loro canzoni propongono atmosfere più reali e al contempo raffinate e meno eteree.

Questo elemento unito alla loro epicità le rende perfette più che mai per un eventuale colonna sonora di un film: lo hanno detto i Muse stessi ed è evidente in Knights of Cydonia considerata anche da molti critici come un incontro tra rock d’arena e Morricone (che i Muse stessi hanno detto di aver ascoltato per creare il disco). Oltre ciò però c’è da dire che il disco difficilmente annoia anche perché è più trascinante: infatti i Muse stessi hanno detto che hanno concepito il disco come una rivalsa del rock come genere da ballo.
Take a Bow
parte con dei suoni che sembrano usciti da Absolution (solo un po’ più tirati) e allora ti verrebbe quasi da pensar male… .. ma chè… i Muse non hanno mai scritto una canzone in cui le liriche fossero tanto enfatizzate dalla musica, liriche che sono un invettiva piena di pathos e dall’umore risentito contro la corruzione dei grandi della terra (stupendamente epico e teatrale il verso: 'You must pay for your crimes against the earth'). Un overtoure che al secondo minuto ti avvolge in una inaspettata trance elettronica dall’andamento progressivo in un climax che arriva alle stelle.

Iper esaltanti nella ripresa di Starlight; Accattivante il suono delle chitarre del singolo Supermassive black hole, per non parlare del falsetto e dai coretti (perfetto: 'glaciers melting in the dead of the night and superstars sucked into the supermassive'); l’inizio di Map of the Problematique che ti proietta diritto nello spazio; la soavità indiscussa di Soldier’s poem, pezzo acustico minimalista ma per niente pretenzioso (come spesso possono essere i pezzi acustici), delizioso nei controcori alla Queen (con i quali hanno delle affinità): questo solo per dire quello che più salta all’occhio. La seconda parte del disco è più sperimentale e termina con la gia citata Knights of Cydonia che saluta la fine del disco in maniera degna.

Forza! Forza!… correte!… correte a comprare questo disco! (Se volete)

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