John Lennon, fai posto. Quando sarà il momento, Noel Gallagher si siederà alla tua destra, dopo avere definitivamente (forse) sancito il finale anello di congiunzione tra due epoche e due glorie del rock di sempre. Questo "Don't Believe The Truth" è il ritorno della band di Manchester dopo tre anni di silenzio seguiti al buono "Heathen Chemistry" che ha portato un ritorno di fiamma da parte dei vecchi fans che sono cresciuti con il riff di "Supersonic" e da parte di quelli nuovi che hanno scoperto gli Oasis da poco tempo per ovvi motivi anagrafici.

"Don't Believe The Truth" già dal titolo ha un qualcosa di epico, robusto, e si collega ipoteticamente ai primi grandi dischi del gruppo inglese sia per quanto riguarda la veste grafica (il ritorno al logo storico, particolare non casuale) e sia soprattutto per quanto riguarda le canzoni, la maggior parte delle quali sono già diventate dei classici a pochi giorni dalla pubblicazione dell'album. Perchè questo è una PIETRA MILIARE, gente, una PIETRA MILIARE. Un disco per forza di cose destinato a un target vastissimo e quindi forte di un carattere educativo, formativo, terapeutico oserei dire. Questo è il rock del 2005, esattamente come "Definitely Maybe" lo è stato nel 1994 nonostante fosse un disco realizzato con pochi mezzi e con un attitudine quasi da demo tape.

Dopo la magniloquenza cocainomane di "Be Here Now", l'assorta psichedelia metropolitana di "Standing On The Shoulder Of Giants" e le rock ballads di "Heathen Chemistry", Noel Gallagher (genio) ha probabilmente sentito il bisogno di un ritorno al rock senza fronzoli, mettendo da parte la propensione agli "inni" (e questo è un elemento di contestazione per i fans della prima ora) e concentrandosi su arrangiamenti più sofisticati ma non per questo meno diretti, creando per la sua band una sorta di "capsula" che davvero li rende assolutamente estranei e diversi da tutta la scena musicale odierna.
Gli Oasis sono ancora 1969: prova ne è il singolo "Lyla" che finalmente porterà nelle zucche vuote di TRL e Top Of The Pops un po' di sano boogie rock à la Rolling Stones. Ma la cosa sorprendente è che il resto dell'album è assolutamente di un altro spessore, e si trova fatica a estrarre dei potenziali hit per il pubblico generalista che ha ancora in mente il leggendario giro di accordi di "Wonderwall".

L'inizio di questo capolavoro è infatti tutt'altro che rassicurante: "Turn Up The Sun" (scritta da Andy Bell) parte con un arpeggio drammatico che si sprigiona poi in un andamento minaccioso e apocalittico, per poi sfumare in un altro arpeggio intimista che rimarca la tensione di quello iniziale... partenza con il fiato sospeso, forse il miglior brano di apertura della storia del rock. Irrompe "Mucky Fingers" di Noel, ibrido tra "Waiting For The Man", "Needle In The Camel's Eye", Jesus & Mary Chain e Bob Dylan che spiazza l'ascoltatore sotto una montagna di feedback, con l'armonica di Gem grande protagonista. 2-0, cazzo. Dopo "Lyla" ecco "Love Is Like A Bomb" di Liam,che è l'ideale seguito della bellissima "Songbird",da immaginare in un ipotetico film à la "Magical Mistery Tour" dove Liam saltella su una collina come faceva McCartney sulle note di "Fool On The Hill".
Ma questo, a dire la verità (sempre che vogliate crederci) è il disco "estivo" degli Oasis... ma non quell'estate dei tormentoni latino americani e delle spiagge di Copacabana, è un'estate di città,o una estate che è presente nella testa di chiunque la immagini diversa dai miraggi illusori propinati dai media e dalla nostra società. È una estate desertica, così come sembra che Noel predichi nel deserto (dell'idiozia) quando, armato di chitarra con il fido Gem alle spalle, si improvvisa Don Chisciotte nella marziale "The Importance Of Being Idle", affidandosi al verbo di Ray Davies, oppure quando in "Part Of The Queue" (ispirata a "Love Will Come Trough" dei Travis) esprime un rassegnato grido di dolore di fronte all'autoomologazione che spinge l'uomo a un sereno, ma mediocre anonimato.
I testi in particolare sono un'altra nota di merito: non più sterili inviti all'ottimismo a tutti i costi (come accadeva ai tempi,seppur bellissimi,di "Acquiesce"),ma una consapevolezza acquisita della fine dell'adolescenza, un modo di porsi nuovo di fronte alla realtà amara del mondo e un conseguente rifiuto di identificarsi in essa (da qui appunto il titolo del disco).
Tornando alla musica, rock'n'roll sparato di due minuti con "The Meaning Of Soul" (miglior figura avrebbe invero fatto la b sides di "Lyla","Eyeball Tickler") che presenta un certo debito agli Hives non ancora imborghesiti, ma le due perle nascoste dell'album si trovano grazie a un Liam finalmente compositore all'altezza delle aspettative in "Guess God Thinks I'm Abel" in cui la voce di "Our Kid" si muove tra le chitarre acustiche come un fanciullo nudo nell'Eden, declamando come Dio gli è apparso chiedendogli se fosse lui Abele... la coda barrettiana del pezzo dimostra come la vena "psichedelica" del disco sia assoluto merito di Liam,che sovente sembra di appartenere e di cantare da un'altra dimensione,personalissima.
La seconda perla dicevo, è la solare "Keep The Dream Alive", una grandissima canzone estiva con un richiamo ai gloriosi Teenage Fanclub di "Bandwagonesque" e agli indimenticati Dodgy di "Homegrown", in cui fa la sua prova migliore Zak Starkey, batterista figlio d'arte (suona tale e quale al padre, poco rullante ma precisione metronomica) che ha sostituito Alan White.
Dopo scorpacciata di tali dimensioni,ci pensa "A Bell Will Ring" a portare tutto a un livello più "umano" con un pop rock onesto ma senza particolari picchi (un brano orizzontale,stile Stone Roses), prima della chiusura languida di "Let There Be Love", una ballata in cui le voci dei due fratelli si alternano tra gli echi di "Strawberry Fields Forever" e delle ballate del Lennon dei '70. Un finale nostalgico che sembra voler sussurrare un arrivederci per i fans, promettendo un prossimo disco ancora migliore (ci sarebbero ancora 40 pezzi accantonati durante le sessions), ma credo che sarebbe da firmare un patto con il diavolo per avere altri dieci dischi dello stesso valore di questo.  L'Hidden Track "I Can See It Now",delirio cromatico/musicale di 4 minuti e passa,sembra essere il preludio a un miracolo.

Il miracolo è che gli Oasis erano morti, crocifissi e dopo tre dischi sono risorti. Festeggiate la Pasqua e non fate come San Tommaso: non credete alla verità.

Carico i commenti... con calma