Paolo Catena, in arte (perchè di vera arte qui si tratta) Paul Chain, dopo una brillante carriera come chitarrista, compositore e co-leader dei Death SS - band fondamentale della scena italiana (e non solo), nata nel '77, creatori del cosiddetto "horror metal" e precursori della scena black metal degli anni '90 - li abbandona per fondare il Violet Theatre, con cui pubblica quattro bellissimi album e, infine, nel 1986 abbandona anche questo progetto per passare alla carriera "solista" (in realtà continuerà a collaborare coi musicisti della precedente incarnazione per parecchio tempo).

Nel 1989 pubblica questo doppio "Violet Art of Improvisation", disco assolutamente inaspettato, che sicuramente stupì non poco i suoi ammiratori dell'epoca. Se infatti fino a quel momento il musicista pesarese aveva quasi perfino "trattenuto", realtivamente parlando, la sua enorme creatività (rispetto a ciò che sarebbe avvenuto di lì a poco), con questo album egli si mostra per quello che realmente è: un'autentica miniera di idee innovative e trovate a dir poco geniali.

L'opera consiste in una raccolta di pezzi registrati tra il 1981 e il 1986, tutti affidati all'improvvisazione, da sempre una costante della musica di Paul Chain.

La prima parte dell'album è costituita da tre pezzi suonati (in entrambi i sensi) con strumentazione tipicamente rock (voce, chitarra, basso, batteria), la seconda comprende sperimentazioni di musica cosmica ed elettronica.

Francamente trovo difficile descrivere le emozioni suscitate dall'ascolto di questo album, ma sin dai bizzarri titoli dei brani si può intuire la natura psichedelica e "astratta" degli stessi.

Il primo disco è aperto da "Tetri teschi in luce viola" (1981), inquietante e lunghissimo doom-metal ante litteram introdotto da note spettrali di organo. Il brano è sorretto per quasi tutta la sua mezz'ora di durata da un cupo riff di basso di tre sole note, prontamente supportato dalla chitarra ultra-distorta di Paul e dalla sua voce, qui trattata come qualsiasi altro strumento. A questo si aggiungono la recitazione di una messa in latino, rumore, effetti psichedelici e ispirati assoli di tastiere e chitarra.

Il primo pezzo, certamente di difficile assimilazione, è seguito da "Emarginante Viaggio" (1981), strano brano sperimentale dal ritmo a dir poco incostante. Questo primo disco si chiude con la black-sabbathiana "X-Ray" (1984), altra lunga Jam Session, che passa quindi il testimone a "Old Way", l'inizio del secondo viaggio, interamente realizzato nel 1986: voce ipnotica, filtrata e manipolata, sospiri, effetti elettronici, synth e due accordi di chitarra acustica campionati.

Seguono l'ancor più mesmerica e straniante, come suggerisce il titolo stesso, "Hypnosis", e la follia avanguardista di "Casual Two Your Mister", interessante esperimento rumorista, che di nonsense non ha solo il titolo.

La chitarra acustica si unisce all'arsenale di strumenti per il folk allucinogeno di "Celtic Rain" che fornisce ulteriore qualità all'opera nel suo complesso.

Il viaggio prosegue con la spaziale "Dedicated to Jesus", a mio avviso uno dei miglior brani dell'album, cantato splendidamente dall'ospite Gilas e arrangiata in maniera ugualmente sublime da Paul Chain.

L'opera si chiude con il suo funerale: solo organo sepolcrale e lamento rassegnato in "End by End", che segna tristemente la fine di questa autentica esperienza di vita musicale.

Riassumendo, "Violet Art of Improvisation" non è un disco per tutti, lo consiglio in particolare agli amanti dell'improvvisazione e della sperimentazione, oltre che ai fan di Paul Chain e della grande musica italiana, mentre a chi vuole cominciare ad avventurarsi più facilmente nel mondo di Chain potrei consigliare capolavori come "In the Darkness", "Life and Death" e "Detaching From Satan", forse più facilmente assimilabili.

Ma, per chi volesse saperne di più, nella prolifica carriera musicale di Paolo Catena (circa 40 diverse pubblicazioni tra singoli, album e qualche raccolta) c'è ancora molto altro da ascoltare...

Importante, secondo me, citare anche gli altri validi musicisti che hanno collaborato alla realizzazione di questo album (in realtà presenti solo nel primo disco): il batterista Thomas "Hand" Chaste (all'anagrafe Andrea Vianelli) e il bassista Claud Galley (Claudio Galeazzi), entrambi ex-membri dei Death SS.

Un'ultima considerazione da fare su questo album (a mio avviso uno dei più importanti nella carriera del musicista), in particolare sui testi, che sono una particolarità propria dell'intera discografia di Catena. Ascoltando i brani si potrebbe infatti pensare ad un inglese indecifrabile o qualche altra lingua straniera, quando si tratta di una "lingua fonetica" ideata dallo stesso Chain: i testi sono quindi costituiti da una serie di parole prive di senso e improvvisate dall'artista, certamente rassomiglianti la lingua inglese.

Vi lascio con la citazione di una frase presente nel booklet:

"L'arte... che cos'è l'arte?"

Quanto alla mia recensione, fatemi tutte le critiche che volete, è la prima che scrivo in assoluto e una paio di dritte non guastano.

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