Negli anni '70 c'è stata una ripresa dei movimenti giovanili iniziati in Italia già nel decennio precedente. Nella musica, questi cambiamenti sono stati accompagnati da una sempre maggiore influenza dello stile anglosassone, rock in prima linea. L'esordio di Pino Daniele con "Terra Mia" nel 1977 è l'esplosione di una ulteriore innovazione. Un'innovazione strana però, fatta con un ritorno alle origini della melodia partenopea miscelata al pop, al blues e (non certo per seguire la moda), al rock. Peccato che allora furono in pochi ad assistere al fenomeno. Infatti il disco vendette solo 3000 copie, per poi essere riscoperto negli anni successivi, quelli che accompagnarono la fama nazionale di Pino.

Ma addentriamoci subito nell'opera. Le prime note sono quelle dell'indimenticabile melodia al violino di "Napule è", sorrette da un piano in sottofondo che riesce però ad essere di un impatto notevole, tanto che nelle fasi successive sembra aggiudicarsi sempre più il ruolo da protagonista. Il testo e la voce di questo pezzo sono considerati da un po' di tempo alla stregua dei grandi classici napoletani. La chitarra di Pino qui si limita all'accompagnamento, anche se, quando s'inserisce all'inizio della seconda strofa, avvolge le orecchie con un calore e una limpidezza toccanti. In compenso il maestro muove velocemente le dita della mano destra per far suonare in duetto una mandola e un mandolino. In seguito il pezzo assume un sapore rockeggiante che lo accompagnerà fino alla fine con la voce principale che si alterna a quella dei cori. "Na tazzulella 'e cafè" è il secondo brano, il lato B del singolo di "Napule è". L'accompagnamento in levare serve da sfondo ad un riff che si appoggia sul quarto grado della scala dando all'insieme un colore che più napoletano non si può. L’assolo è invece di stampo blues, molto blues. Il terzo brano apre le danze al folklore con voci maschili e femminili che abbelliscono quella di Pino in un armonico caos da quartieri spagnoli. Il riff spetta ancora al mandolino, così come nel quarto pezzo “Suonno d’ ajere”, sul quale non dico nulla. Invito solo all’ascolto e a godere del suono del basso stoppato nel ritornello. Una delle miscele tra classico e moderno più riuscite dell’album. Con “Madonna mia” si dà spazio al blues anche nell’accompagnamento, ma non è di certo il semplice giro dei tre accordi dei blues americani. Ascoltare la sesta traccia “Saglie saglie” fa scorgere le innumerevoli qualità di una voce bellissima. Note lunghe e precisissime sono miscelate a fraseggi più rapidi assieme ad una voce femminile. Arriva poi “Terra mia”, un altro pezzo di storia. La successiva “Che calore” è bellissima e scherzosa con due melodie chiave, una più bella dell’altra, una alle percussioni, che fanno anche da accompagnamento, l’altra ai fiati. Segue “Chi po’ dicere”, breve ed intensa: cosa possono fare una voce e una chitarra… “Furtunato“ fa venire in mente il caldo estivo e sa di aria respirata nei vicoli. “Cammina cammina”, forse per la sua semplicità, ad un primo ascolto resta più impressa per il testo che per la musica. Non ha un ritornello però, e risuonandola da capo una seconda volta la melodia entra in testa irrimediabilmente. L’intro di “O’ padrone” è solare, con una chitarra elettrica che dà il suo tocco blues quasi dissonante con l’atmosfera mediterranea. Chiude il disco “Libertà”, forse il pezzo più pop di tutti, con accordi semplici e un riff alla chitarra distorta che in certe parti viene anche armonizzata. Tanto semplice quanto bella.

Insomma un disco geniale che, come ogni opera di Pino Daniele, necessiterebbe di un’analisi diversa da un semplice elenco telegrafico dei brani presenti in essa, che, però, meritavano tutti di essere almeno menzionati. Spetterà dunque all'ascoltatore prestare attenzione ad ogni passaggio, ad ogni sfumatura di una musica che è diversa, superiore: fatta da un genio che a soli 22 anni ha pubblicato un lavoro ancora unico nel suo genere.

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