Forse sarà poco opinabile altresì scontato affermare che si tratta sicuramente del lavoro più acerbo di Pino Daniele, d'altronde è il primo album, scritto e suonato solamente a 22 anni. Ben intendiamo però una cosa: un discorso del genere ha senso solo se poggiamo lievemente l'udito sulla partitura. Se invece, saggiamente cerchiamo di inoltrarci con passo claudicante nella sostanza -più che nell’essenza- del suddetto LP, la nostra percezione cambia, viene stravolta.

L’opera è permeata da malinconica poesia, con liriche che si rifanno a sogni distaccati.
Il primo disco punk italiano, perché l’innovazione è il mantenersi e lo svilupparsi della tradizione, costruirla partendo già da solide basi. Pino non è mai stato un conservatore, non ha mai ereditato nulla, la tradizione non si eredita. Non si è mai ancorato al ricordo (che di per sé è statico, malleabile invece nel suo rinvenir-divenendo), alla mera memoria, a quell’incapacità di distaccarsi dagli scogli di genetliaca provenienza, lui si butta, è in quell’attimo… librato in aria prima di atterrare nell’infinita acqua liberatoria. È proprio in questo modo che si chiude “Terra Mia”.

"Stà durmenno senza tiempo

‘Nu ricordo ca nun penzo cchiù

Ma che succede io sto’ chiagnenno

Penzanno a ‘o tiempo ca se ne va

E cammine ‘mmiezo ‘a via

Parlanno ‘e libertà."

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