Doveva per forza venire fuori l’ennesima recensione di un disco dei Radiohead? Sì, doveva. Siccome, infatti, quest’oggi pomeriggio mi annoio, ho pensato di farvi incazzare un po’ chiacchierando vagamente, e senza competenza, di uno dei dischi della band alternative-tutto inglese che mi piacciono di più. Trattasi di "Hail to the Thief", album numero sei, uscito nell’anno del Signore 2003.

Se date un’occhiata smaliziata all’artwork che incornicia questo disco potrete notare dei particolari interessanti: tanti rettangoli colorati, ciascuno dei quali contenente una sigla o un vocabolo appartenenti al mondo moderno (24 HR, TV, Popcorn, Autos, Vacant, Screen et cetera). In alto si levano delle inquietanti sbavature nere che vanno a lambire l’azzurro candido del cielo, emanate proprio da questi “manifesti” dai colori acidi. Insomma, non ci vuole certo il gotha dell’Illuminismo per comprendere il messaggio di fondo della copertina: alienazione. Il buon Thom dal falsetto disarmante (in senso buono, eh) ne sa qualcosa. Alienazione è il cancro che permea ogni singola opera dei Radiohead; una nube tossica che si può inalare a pieni polmoni dopo il duecentesimo ascolto di Ok computer, o il terzo di Kid A – una delle cose più insostenibili e strazianti mai partorite da una mente umana, capace di turbare persino il più illuminato dei buddisti.

Pure in quest’album numero sei, dunque, si ritrova intatto il gusto per il nichilismo e la disperazione, e l’incomprensione, e le nenie elettroniche (Where I End and You Begin, traccia sei; The Gloaming, numero otto) a cui si mescolano un po’ di vecchie sonorità rock, che ricordano – sia pur vagamente assai – i Radiotesta delle origini. Siamo quindi piuttosto lontani dai pesanti naufragi elettronici di Amnesiac e del più recente, poco apprezzato The King of Limbs. Qua, in questi lidi nichilisti, si sente ancora il peso dei Radiohead-band piuttosto che del singolo Thom Yorke: la batteria è poderosa, quasi marziale in There There, dove il buon vecchio Tommaso introduce al divino mondo dell’illusorietà ("Just ’cause you feel it / Doesn’t mean it’s there") e della casualità ("We’re accidents waiting / Waiting to happen"); minimali, dolci, liquidi i suoni di chitarra che sorreggono gli acuti di Thom, prima del liberatorio "Because!", nella traccia d’apertura (2 + 2 = 5; e non potrei certo essere più d’accordo). Insomma, il comparto acustico si fa sentire.

Le tematiche dell’album, si diceva, sono più o meno sempre le stesse. È pura disperazione, è l’eco della generazione ics che non riesce a trovare un posto decente nel mondo, e che viene prima sedotta e poi abbandonata da tutte quelle parole che troviamo in copertina. C’è anche, secondo alcuni, una vaga presa per il culo anti-americana (il titolo parodierebbe "Hail to the Chief", la marcia che viene suonata per il presidente USA). Dovendo accostare questo disco alla letteratura mi viene in mente, per l’affinità delle immagini evocate, il romanzo La vita agra di Bianciardi, scritto sì negli anni ’60, ma ancora bello vivo e attuale nel portare avanti la denuncia dell’alienazione metropolitana e dello smarrimento dato dalla perdita di valori assoluti quali l’amore, l’amicizia e via di seguito; tutto ad appannaggio della crescita del capitale. Il protagonista, Luciano, è molto simile al "mongrel cat" di Myxomatosis: una vittima del sistema, sbattuto in qua e in là tra arrivisti della domenica, edonisti, gente che non comprende o finge di non comprendere, sanguisughe che prima assorbono il meglio di te e poi ti lasciano a morire in mezzo a una strada ("You should put me in a home / Or you should put me down"). Proclamiamolo con franchezza: il "mongrel cat" è l’alter ego malaticcio di tutti noi.

"Hail to the thief", insomma, è la storia di questo mondo, una piscina piena di merda in cui bisogna sbattere con forza le braccia per tenersi a galla cercando di ingoiarne il meno possibile. Non aggiunge nulla di nuovo a quanto già detto dagli stessi Radiohead – e immagino, nello scrivere questa frase, quale sarebbe la reazione di Napo degli Uochi Toki leggendola – nelle loro fatiche precedenti (Ok Computer su tutte), ma resta comunque un ottimo lavoro, meritevole senza dubbio di una decina di ascolti. Grazie per aver letto la mia prima recensione in assoluto. Ora insultatemi a go-go: penso di essermelo meritato.

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