A volte, quando esce il nuovo disco di un gruppo che ti piace, ti aspetti che ti sorprenda. Il che, se ci pensi, è un controsenso logico.
Eppure certi gruppi sono in grado di farlo.

Mi appresto quindi a provare Hail To The Thief, e mi aspetto certe cose dai Radiohead.
Mi aspetto che ci siano degli arpeggi puliti e discendenti, che Thom canti a volte lamentoso e a volte schizzato, che certi loop suggeriscano emozioni ai più incalliti fan dell'elettronica.
Però mi aspetto anche che i Radiohead mi sorprendano e quindi in un certo senso superino questi stilemi.

Lo ascolto e sento che replicano il loro stile; avrei dovuto aspettarmelo, eppure mi sorprendono lo stesso. Il perché, boh, chiedetelo agli impulsi elettrici che regolano le emozioni nel nostro cervello.
Eppure, quando ascolto 2+2=5 (The Lukewarm) sento l'isteria dei Radiohead riscritta come non mi potevo immaginare. Quando ascolto A Wolf At The Door (It Girl. Rag Doll) - la canzone più bella dell'album, se non della loro storia, a mio modesto avviso - sento quegli arpeggi e quei falsetti ma anche una strana melodia vocale incalzante e un ritornello che fugge da se stesso.
Quando ascolto We Suck Young Blood (Your Time Is Up) sento quella batteria lenta e i lamenti alti/bassi di Thom ma anche nuove atmosfere inquietanti.

Certo, c'è chi vorrebbe sempre i Radiohead melodici di The Bends e Ok Computer, e chi invece vorrebbe seguirli in ogni tipo di contaminazione elettronica, jazz e chi più ne ha più ne metta.
Io trovo che quest'album sia un esito davvero notevole per chi come il quintetto di Oxford ha prima inventato uno stile, e poi, quando tutti li seguivano, si è diretto dove nessuno si sarebbe mai aspettato.

Mi sento in debito per la bellezza che ci regalano.

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