L' ‘ode al ladro' dei Radiohead è un universo sonoro denso e a tratti carico di un'urgenza comunicativa inusuale per loro; punto d'incontro tra la melodia sofferta di ‘Ok computer' e lo sperimentalismo ‘criptico' di ‘Kid A'.

La disillusa vena analitica nei testi di Thom Yorke esplora l'assurda follia dell'uomo in un mondo dove, ormai, incubi e paranoie della società moderna sono realtà quotidiana: quindi, fin dall'orwelliana ‘2+2=5' , un ibrido tra l'espressività chitarristica dei Radiohead di ‘The bends' e un magma ribollente di suoni ermetici e oscuri, è chiaro che ai cinque di Oxford interessa tracciare un paesaggio a tinte fosche sulle paure del presente e l'ansia di un futuro incerto; in cui emergono tutte le contraddizioni politiche e sociali dell'occidente. ‘Sit down, stand up' esplode nel finale in un mantra ipnotico/elettronico mentre fuori ‘continua a piovere, continua a piovere...'; l'oscurità ('The gloaming') ci circonda e allora per i Radiohead l'unica soluzione possibile è un'illusoria fuga sulla luna (‘Sail to the moon') in un apice di lirismo ‘cosmico' prima dei grovigli ritmici di ‘Backdrifts'.

L'unione tra strumentale ed elettronica si spezza ancora nella sorprendente ‘Go to sleep', quasi una folk-song trasfigurata dal canto evocativo di Yorke e dalle acustiche di Greenwood e O'Brien in uno scenario post-apocalittico, che anticipa l'incedere dark di ‘Where i end and you begin', tra new wave e gotico. ‘We suck young blood' è metafora lugubre e ‘vampiresca' sulla perdita dell'innocenza nella falsa apparenza dello show-business; con la voce di Thom Yorke funebre ad accompagnare un tetro battere di mani. Ma la ritrovata sintonia con la forma canzone rispetto ai due precedenti lavori del gruppo inglese prosegue nel trasporto emozionale del singolo ‘There there' e in ‘Punch up at the wedding', quest'ultima a metà via tra il soul dei '70 e un jazz ‘alienato' suonato durante un matrimonio andato a male. ‘I will' è una tenera elegia che nasconde, invece, rabbia e collera verso chi può decidere sul destino altrui, in cui uno Yorke accorato ammonisce che tutto ciò non accadrà ai propri figli, e cercherà in ogni modo di preservarli dalla mano cieca del sistema. Una decisa e utopica ribellione allo stato delle cose odierno, alla mistificazione della realtà operata da politici e mass-media in questi anni, dove c'è chi prova a farti credere che la somma di 2+2 sia 5, che sfocia nella furia surreale di ‘Myxomatosis' e del suo "cane bastardo con in bocca mezza testa di animale" malato, appunto, di mixomatosi: un'atmosfera oppressiva, ansiogena e lancinante dalle chitarre glam su sfondo alla ‘Blade runner', e il dubbio che tutti potremmo essere stati vittima di un contagio.

La dolcezza di ‘Scatterbrain' auspica una purificazione che nella catarsi finale di ‘A wolf at the door' aumenta il disagio nei confronti di ‘qualcuno' intento a controllarci, a spiare ogni nostra pur piccola e inutile azione. Un ‘Grande fratello' reale che decide per noi. Un lupo alla porta che ci aspetta in silenzio e vuole portarci via tutto. Comunque, anche per i Radiohead può esserci una via d'uscita da questi tempi bui, nonostante ‘la strada maestra è quella del demonio e non serve urlare'; ed è testimoniato da una volontà di riscatto della dignità umana, dalla matrice e le sue macchine, che emerge chiaramente dall'ascolto di ‘Hail to the thief'.

Con tanti saluti a George W. Bush.

 

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