Un giorno, facendo uno di quei soliti test che ti arrivano per mail dagli amici, mi trovai a rispondere a questa domanda: "il disco che vorresti suonato al tuo funerale". Non ebbi esitazioni e scrissi "( )" degli islandesi Sigur Ròs. I motivi di questa mia scelta? E' in assoluto l'album più commuovente, emotivo, ricco di pathos, di lacrime, profondo, oscuro e lucente che conosca.

Il disco, minimale sin dal booklet, vede gli islandesi esibirsi in un tipo di musica che non ha confini né definizioni: è la descrizione di ampi spazi gelidi dove regnano contemporaneamente ghiaccio e fuoco (come l'Islanda), è la descrizione di una vita che se ne fugge via e di una che nasce, è il battito di due cuori uniti per sempre che vivono una sola vita per loro lunga un'eternità, per il tempo lunga solo un secondo. L'album è composto da otto suite in cui il leader e cantante Jons usa la sua bellissima acuta voce come se fosse uno strumento, modulandola a proprio piacimento e articolando suoni che non appartengono a nessuna lingua, ma che tutti possono interpretare come vogliono costruendo il proprio testo.
Per queste e altre caratteristiche si tratta forse del lavoro più malinconico, oscuro e misterioso che i nostri abbiano finora creato. Le tracce si susseguono placidamente, con strutture "alla post-rock" che le vedono spesso culminare in un crescendo di emozioni e pathos: se ciò può sembrare monotono credetemi, non è affatto così. Certo non è musica da tutti i giorni, e soprattutto non per ogni stato d'animo, e anche chi è abituato, come me, a ascoltare generi di musica dai più definiti (forse sin troppo sarcasticamente) "da suicidio e depressi", è inevitabilmente toccato nel profondo dalle fredde nenie del gruppo. Ad un ascolto più accurato è inoltre percepibile una spaccatura emotiva all'interno del disco: le tracce 1 - 2 - 3 potrebbero essere viste come un viaggio dalle tenebre alla luce (una vita che nasce forse), le rimanenti cinque potrebbero invece rimandare ad un viaggio opposto (una vita che muore dunque).

Difficile indicare i pezzi più rappresentativi: mai come in questo disco la soggettività (legata al messaggio che ogni traccia comunica all'ascoltatore) vincola anche il giudizio totale. "Untitled 1" è dolce come una carezza fatta da una madre a suo figlio immobile a letto e con la febbre alta, è il bacio tra due persone che si amano e si promettono l'un l'altra per sempre; "Untitled 2" è una passeggiata su una spiaggia invernale in compagnia di persone che non vedevi da tanto e alle quali eri e sarai sempre legato; "Untitled 3" è legata a immagini in bianco e nero che ritraggono un'infanzia nei fatti sbiadita e perduta ma per sempre nella nostra mente; "Untitled 4", riutilizzata in maniera meravigliosa nelle scene finali del film "Vanilla Sky", è il vuoto plastico che si sprigiona nel momento in cui un'anima si diparte dal corpo che la ospitava, e fa il suo ingresso in quelli che in molte rappresentazioni sono i "campi elisi", in altre semplicemente il paradiso, la pace eterna e il sole sempre che ci illumina; "Untitled 5" si ispira forse alle profondità marine, dove ogni suono è ovattato e dilatato all'inverosimile, e dove la vita come la conosciamo noi probabilmente ha significati diversi, addirittura magari non esiste; "Untitled 6", un maestoso e onirico requiem, ricordo di qualcuno che non c'è più se non nei nostri cuori, il cui ricordo scatena emozioni così forti da creare una tensione emotiva sfogabile solo con un pianto liberatorio; "Untitled 7" è l'urlo sofferente di un cuore straziato dal dolore, per una separazione che può essere fisica o mentale; la portentosa "Untitled 8", la più lunga, con il suo finale esplosivo dalle ritmiche tribali oniriche e misteriose, un maelstrom che ci inghiotte e ci travolge lasciandoci estasiati seppur con il cuore lacerato e il fiato spezzato.

Più che un disco un'esperienza di vita, un portale verso luoghi interiori mai esplorati, una chiave per i vostri ricordi più profondi e le pulsioni più ancestrali, questi sono i Sigur Ròs di "( )".

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