Prendete due donne di simil bellezza, una truccata e ben vestita alla moda e l'altra non inferiore in quanto ad estetica, ma più trasandata, naturale, senza troppi accorgimenti, tale da risultare meno affascinante all'apparenza.

Allo stesso modo allestite un calderone con lo scopo di cucinare una dose ribollente di thrash metal, quello fatto in casa, senza aggiungere additivi chimici, conservanti e coloranti, ma solo con ingredienti di sicura provenienza e certificati.

Perchè in fondo questa è la ricetta per un buon tonificante thrash: via gli orpelli inutili, via le chitarrine acustiche, via le vocals troppo clean, fuori gli assoli lenti e tecnici e fuori le congetture e le lungaggini. Al netto di tutto questo, quello che rimane è uno scenario infausto, marcio, tetro, criptico, un labirinto dal quale non si esce sani di mente. Una targa insanguinata e piena di polvere posta in alto su un grande e arrugginito cancello dice "Reign In Blood".

Non è il caso di soffermarsi più di tanto su quanto sia stato importante per gli sviluppi futuri del metal estremo, sui testi di cui lascio che parli un servizio di Studio Aperto versione Zelig, o ricoprirlo di paroloni di maniera, ma invece analizzare altri aspetti, a mio giudizio poco sviluppati, in sede di analisi di questo disco.

Va detto che tra i principali lavori capi-saldi del thrash metal (big four/five), questo disco degli Slayer è quantomai quello più estremo, nonché anche quello meno digeribile alla grande platea. Questo dovuto, come detto, ad un songwriting diretto e senza fronzoli, senza troppi aggiustamenti, ma in grado sopratutto di esprimere una grande prova di forza fisica. In sostanza riff & ritmiche thrash adattate su basi hardcore punk old school: quelle dei Minor Threat, che gli stessi Slayer ammiravano e Black Flag per intenderci e non le basi heavy metal che caratterizzavano i Metallica.

Ma non è solo la folle velocità esecutiva (courtesy of Mister David Lombardo) a portarlo oltre la linea, a questo ci pensa anche la voce sporca (o meglio i ruggiti) di Tom Araya, che senza bisogno di screaming/growl, risulta tuonante e oppressiva allo stesso modo. Abbiamo un insieme di pieni e vuoti (King&Hanneman docet) fatto apposta per non conquistarti. Dunque a questo punto la ripetitività e gli assoli non-sense, possono essere visti come un pregio o un difetto, sta ai vostri padiglioni, scegliere da che parte stare.

Mentre i Metallica, si concedevono canzoni si con strutture complesse e lunghe, ma sempre ben comprensibili e aderenti ad una forma canzone, con tanti ritornelli pronti all'uso e alle platee degli stadi (e sia chiaro è tutt'altro che una critica, ma una mera constatazione), gli Assassini fanno di tutto per non essere catchy e non piacerti, quasi ci prendono gusto a suonare così a-musicali, con strutture confuse e ritornelli spesso completamenti assenti (Raining In Blood, Postmortem, Epidemic...) o sputati con tanta veemenza sul microfono, da non memorizzarli, se non dopo numerosi ascolti.

Del resto confrontato a "Master Of Puppets" vi è un abisso, stessa cosa avviene tra quest'ultimo e "Rust In Peace": tre modi di dipengere il quadro con colori e sfumature molto diverse tra loro. Con i Four Horseman quelli più amichevoli e Slayer e Megadeth, nonostante siano agli antipodi musicalmente, molto più complessi e poco inclini all'easy-listening, sebbene per motivi diversi (anche nei 'Deth, vi è un certo rifiuto spesso di certe strutture convenzionali).

Se i Metallica negli 80's suonavano col cuore, e i Megadeth erano cerebrali, gli Slayer non possono che essere fisici e usare i muscoli.

Il poker iniziale rappresenta praticamente già tutto quello che c'è da sapere, dove a spiccare è sicuramente "Angel Of Death", (che con "Over The Wall" e "Master Of Puppets" si gioca la palma d'oro di thrash song personale), uno dei loro inni, nonché probabilmente quella più "assimilabile" dell'intero lavoro, visto che con le successive e ottime "Piece By Piece", "Necrophobic" e "Altar Of Sacrifice" si entra già in territori, tolti gli assoli, più vicini all'hardcore punk che altro. Non da meno "Criminally Insane" che lascia qualche secondo per riprendersi con un riff marcio e cadenzato, salvo schizzare via subito dopo fino alla fine. Mentre il ritornello di "Jesus Saves" che arriva dopo una prolissa ed evitabile intro è sputato fuori in un modo così alienante, da fare giurisprudenza a sé.

Non vi sono grossi cambiamenti di stile all'intero della tracklist, con ritmiche sempre altissime, se si esclude la lenta "Postermortem" e gli stop & go di "Raining Blood", che a costo di risultare impopolare è quella che a me colpisce meno di tutte, avendo un gran riff iniziale, ma risultando nel complesso un tantino dilatata e portata troppo per le lunghe.

Menzione decisamente a pro invece per l'ottima e sottovalutatissima "Aggressive perfector", non inclusa nella tracklist originale, ma solo nella versione rimasterizzata (che include anche come extra il remix di "Criminally Insane") come bonus track, un'altra granda cavalcata epica, con una coda finale strumentale esaltante, giusto preludio al calare della notte, di una pioggerellina e della nebbia, che spegne ogni gemito e ogni sussulto.

Se domani scenderà un rassicurante arcobaleno colorato ad accompagnare una fresca e splendente alba, al momento non ci è dato sapere.

Voto disco 4.5/5

Carico i commenti... con calma