Quando si ha di fronte un disco degli Slayer probabilmente ci si immagina già prima dell'ascolto cosa vi è scritto nei suoi solchi, perchè quello degli Slayer è un marchio di fabbrica. Non va cercata innovazione, ricerca musicale o sperimentazione, ma assaporata la velenosa malvagità e la grezza ferocia di ogni singola canzone, mettendo da parte i compromessi perchè gli Slayer non li hanno mai conosciuti.
Di fronte ad un album come "World Painted Blood" è inutile perdersi in chiacchiere, non c'è spazio per fronzoli: non sono ospiti ben accetti in casa Slayer. Per godersi al massimo l'ennesimo lavoro dei quattro malvagi californiani bisogna lasciarsi trasportare nei meandri di oscurità e decadenza umana raccontati dalle urla di Tom Araya, e accompagnati da tutta la ferocia di cui Kerry King, Jeff Hannemann e Dave Lombardo sono capaci.
L'album parte molto bene, la traccia d'apertura, "World Painted Blood" è subito coinvolgente, sembra un pezzo thrash d'altri tempi, di ottima fattura che scorre via riff dopo riff mentre Tom Araya urla versi raccapriccianti e apocalittici, come da manuale. Le successive canzoni sono molto azzeccate e mantengono alto il livello dell'album, "Unit 731" non concede respiro, "Snuff" malgrado un inizio non dei migliori affidato al caos sprigionato da un assolo di chitarra completamente senza senso, si trasforma subito in uno dei pezzi migliori dell'album, con un ritornello in cui il riffing mette in chiaro che Hannemann e King sono sempre la coppia di bastardi che ben conosciamo. A tratti l'album è davvero oscuro e tetro, come nella riuscitissima "Beauty Through Order" o nella particolare "Playing With The Dolls", che ricordano le atmosfere allucinate di tempi di "South of Heaven", ma è la violenza a tenere banco in pezzi come "Public Display of Dismemberment", "Psichopatic Red" e "Hate Worldwide", che attraverso la solita formula collaudata ed invariata negli anni, ci mettono di fronte alla capacità degli Slayer di essere molto concreti nella composizione, rendendo i brani vari e ben strutturati senza scadere nel banale.
Certo, ripetersi ad altissimi livelli dopo aver dato già alla luce i propri capolavori non è affatto facile, per cui l'album a tratti risulta poco fresco e l'inserimento troppo frequente di assoli puzza di riempitivo, ma non si può non apprezzare una genuina furia cieca che scaturisce dalle menti di quattro persone che, nonostante fama mondiale ed influenza su generazioni e stili musicali diversi (in ambito metal), hanno sempre qualcosa da dire. Infine, resta da segnalare la scelta della band di utilizzare una produzione essenziale e scarna, che in fin dei conti si rivela un'arma a doppio taglio: i suoni sono più secchi e naturali, la batteria non presenta trigger dimostrando quanto si possa pestare e suonare pesanti senza avvalersi di suoni digitali ed estremamente eleborati, però le chitarre sembrano un po' troppo spoglie, un po' di distorsione in più non avrebbe guastato.
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Altre recensioni
Di olifs89
Se continueranno su questa strada, ormai ai limiti della creatività finiranno per infangarsi.
In un disco di undici brani se ne salvano cinque o sei, chiaro segno che la band portatrice dello stendardo del Metal è prossima alla pensione.
Di emandelli1
Il disco è un assalto sonoro che inizia sin dalla prima canzone.
Undici pezzi di potenza devastante.
Di Francis Araya
Ma che thrash è? I riff sembrano inventati da un ragazzino al primo demo.
La produzione penalizza in maniera massiccia quello che forse avrebbe potuto essere un album salvabile a metà.
Di March Horses
getto subito la maschera: questa è una (non) recensione di un fanatico dedicata ai fanatici.
Psycopathy Red e la conclusiva Not Of This God ricordano il motivo per i quali questo gruppo è ricordato: percuotere le corde istintive dell’ascoltatore.
Di massimosh
Non un capolavoro, come gli album pre-anni 2000, ma un buon lavoro.
Dave Lombardo rimane un mostro nel drumming.