Con il loro omonimo esordio del 1977, i Suicide hanno subito dato l’impressione di venire da una sorta di universo parallelo.

Fin dalle prime note, il primo pezzo “Ghost Rider” ha un ritmo incalzante, industriale, quasi come un ballo post-apocalittico. “Rocket USA” continua sullo stesso tema, come se i Velvet Underground si fossero risvegliati in una realtà parallela dal sapore cyber-punk.

E’ difficile immaginare la percezione degli ascoltatori, la prima reazione a un disco del genere a fine anni 70. Oggi siamo abituati a questo tipo di sonorità, ma all’epoca la combinazione di rock’n’roll e musica elettronica era una cosa molto nuova, specialmente per coloro che pochi mesi prima si erano appassionati alla scena punk che incalzava nel Regno Unito e altrove. Pezzi come “Cheree” hanno presagito generi come il new-wave e persino lo shoegaze, mentre canzoni come “Johnny” richiamano la struttura del rock and roll di matrice più classica, ma adornato da strumentazione futuristica per l’epoca. Questi sono alcuni dei momenti a mio avviso più salienti di questo disco, che è decisamente rimasto una delle pietre miliari della musica elettronica alternativa. Il duo di Alan Vega e Martin Rev ha continuato a perfezionare la loro formula con i dischi successivi, forse abbracciando un suono meno scuro, mantenendo lo stesso impatto che ha poi influenzato moltissimi artist a venire.

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