Ogni tanto staccare la spina dal metal, specie quello estremo, fa bene. Rilassa corpo, mente e anima.

In effetti, in una delle mie recensioni, un commento di un “viandante” mi diceva: “atri ascolti?” lasciando alludere che io ascoltassi solo metal estremo (o, peggio, solo power).

Beh, effettivamente il metal mi piace e questi “The Butterfly Effect” potrebbero anche rientrare nella categoria suddetta. Se non fosse che, le melodie, abbastanza commerciali (inteso nel senso meno ampio del termine) non fanno altro che “allontanarli” dalla classificazione di metallari tout-court.

Preparatevi, allora, ad assaporare le (ottime!) melodie di “Final Conversation Of Kings”, un album che unisce ad un alternative rock molto devoto al sound americano (anche se la band è tutta australiana), un gustoso progressive-rock sound, indie e shogaze.

Questa amalgama sonora risulta, in verità, davvero azzeccata e il songwriting del quale è infarcito il disco non fa altro che far viaggiare con la mente, in territori “inesplorati”, l’ascoltatore di turno che si ritroverà affascinato innanzi a song quali l’opener “Worlds Of Wire”, ottimo biglietto da visita, che ci presenta quello che sono i TBE oggi: una band coi controcazzi che non ha paura di sperimentare, che si è allontanata dal proprio sound primordiale (quel connubio di nu-metal e alternative rock “made in USA”) per proporci soluzioni sonore meravigliose, come l’affascinante “The Way”, l’hard rockeggiante “Window And Watcher” dai toni molto incalzanti e “In These Hands” che sembra richiamare gli U2, sfornando una grande prestazione e mostrando, alla band di Mr. Bono, come è possibile scrivere dell’ottima musica, melodica, ispiratissima ma senza risultare piatta, noiosa e spudoratamente commerciale.

Inutile perdermi in un track by track perché, dire quale sia la “più riuscita del lotto” equivale a dire un’eresia. Le song si concatenano l’un l’altra, dando così l’impressione di essere un tutt’uno con loro stesse.

Il gusto per le melodie, l’ottimo guitarwork di Kurt 'Flirty K' Goedhart e, soprattutto, l’ugola d’oro dell’ottimo Clinte Boge (che fa la parte del leone per tutta la durata del disco) non fa altro che far aumentare a dismisura la voglia di riascoltare le songs, l’una dopo l’altra, daccapo, ancora e ancora.

Perché questo è “Final Conversation Of Kings”. Un album semplice, che sa prenderti e catturarti sin dal primo ascolto e che riesce ad ammaliarti con le splendide linee vocali di un signor singer che si supera in “Final Conversation”; album che chiude i battenti in bellezza con la superba “Sum Of 1”, così psichedelica, così distorta e rabbiosa nei refrain e, allo stesso tempo, così dannatamente melodica.

Semplicemente perfetto.


Da avere.

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