David Crosby è un po' seccato. Il successo raggiunto con il supergruppo CSN&Y pareva, nel 1972, destinato a non proseguire, e quel che allora rimaneva era un disco, uscito poco prima, assieme al solo Graham Nash. Chris Hillman si avvide, sempre in quell'anno, che il ferro che i Manassas avevano giustamente battuto perché caldo, s'era dunque intiepidito e le idee, causa l'intensa produzione, s'andavano esaurendo. Era tempo d'andare alla cerca di nuova linfa e nuovi stimoli, anche se però ancora costretto "fisicamente" a stare in tournée coi Manassas.

Gene Clark invece, aveva paura di volare e questo lo allontanava inevitabilmente dal jet set, dal mondo che conta. Certo, ha anche altri problemi, e per affrontarli e, chissà, anche guarirne, l'idea di starsene lontani da quella stressante dimensione poteva esser proprio buona. Epperò questo tenersi in disparte "per problemi irrisolvibili ed a scopi precauzionali" lo costringeva a doversi trovare in qualche difficoltà economica. Eppoi vuoi mettere ritornare al grande pubblico, dopo tutta una serie di dischi ottimi se non magnifici, ma di scarso successo?

Michael Clarke, poi, non ha mai scritto un pezzo. E' entrato nei Flying Burrito Brothers quando già la band era stata abbandonata da Gram Parsons e da Chris "spalla ideale" Hillman. Adesso anche Micheal s'era rotto... Ma restare disoccupato proprio lui, il batterista dei Byrds?

Ma quello con le polveri più bagnate di tutti era colui che di quel meraviglioso monicker fu riconosciuto proprietario, e che, rimasto solo, lo spese in lavori prevalentemente né di successo né di valore. Interminabili le tournée per battere cassa, per promuovere dischi che l'audience non aveva acquistato. Poi, quella decisione, presa alla luce di molte evidenze: quella nuova line up, "quei Byrds" non funzionavano più neppure per lui, ed andavano sciolti. Magari si potesse tornare indietro, magari si potesse riprendere il volo da dove era cominciato!

David Geffen invece non faceva parte dei Byrds, ma dei furbi. Padrone allora della Asylum, voleva soffiare quello che restava dei Byrds, cioè McGuinn ed il monicker, alla Columbia per pochi dollari, ché tanto la Columbia di soldi coi Byrds ne ha fatti pochi e niente. Le ragioni di Geffen? Visto che tirava una brutta aria in casa CSN&Y, e dato che il mercato premiava le superbands, chi poteva affiancarsi meglio al buon Crosby se non Hillman, Clarke e Jim/Roger "despota" McGuinn?

"Byrds" è un progetto nato in provetta, e deforme, come tutti quei megaprogettoni in cui non è l'ispirazione a far da padrona del pastificio, ma lo scettro è saldo nelle mani di una ricerca di marketing. Data la giusta risonanza mediatica donata alla fantastica reunion, il progetto "Byrds" riceve un più che discreto accoglimento da parte dell'audience. Ma il succo non c'è, cosiccome non c'è una band dietro a quel nome in copertina.

I brani di McGuinn derivano, come fu per "(Untitled)" e per "Byrdmaniax" dalle solite musiche per lo spettacolo Broadwayano "Gene Tryp" che mai vide la luce; Hillman porta due pezzi in stile Manassas e scritti per i Manassas, uno dei quali è perfino scritto assieme ai Manassas, nello specifico il batterista. Crosby poi ci mette due scartine... Tutti assieme, per la serie "facciamo outing e dichiariamo la nostra inferiorità al mondo",  infilano due pezzi di quello che un tempo fu "il rivale" (ma del solo McGuinn), nonché il leader della "band rivale", e cioè Neil Young. Fossero stati almeno di Bob Dylan, come da tradizione per i "veri" Byrds...

"Sweet Mary" di Roger è un noioso mix tra un folk per Simon & Garfunkel ed un traditional medievale; "Born To Rock&Roll" è proprio da musical, con tanto di balletto, perfetta per un ipotetico finale tra gli applausi e gli inchini. Graziosa, ritmata e melodica al punto giusto. Hillman propone il powerpop "Things We Do Better", molto radiofonico per non dire paraculo, e la giocosa ed insignificante "Borrowing Time".

Crosby piazza il mezzo blues mezzo powerpop "Long Live The King", per nulla convincente, e "Laughing", sorella decisamente minore di tante dignitosissime esponenti della sua psichedelica visionaria. Il piglio trasognato di David si fa sentire tutto, e lo riconosceresti tra mille altri pigli, ma è l'ispirazione a latitare. Ci si limita a lasciarsi lievemente suggestionare da certe frenate, da qualche buona plettrata, da un finale che sembra volgere verso il soul... Ma ad orecchie addestrate alla Crosbylogia è chiaro sin da subito che non ci troviamo al cospetto dell'esemplare più degno.

Neil Young ci regala la famosissima "Cowgirl In The Sand", eseguita abbastanza alla perfezione, e "(See The SkY) About To Rain", e lì se mi permettete voglio esprimere ai Byrds i miei complimenti per quegli splendidi "scrosci" di chitarra acustica (chitarre croccanti: C-rock?) ed in particolare a McGuinn per il jingle jangle splendido nel finale. Chi resta? Ma naturalmente Gene Clark. Io non mi sento di bocciare gli altri tre autori, ma non mi sogno neppure di promuoverli: non ci si riunisce con ambizioni di livello stratosferico per piazzare leftovers, per mettere sul piatto gli spicci, per svuotarsi definitivamente le saccocce da quei fastidiosi pidocchi. Non si arriva a questo disco un mese dopo averne pubblicato uno, e quindi a corto d'idee (Crosby), oppure mentre sei ancora in tournée e non hai avuto il tempo per scrivere cose nuove, né tantomeno di pensare al tuo nuovo progetto (Hillman e McGuinn). Gene Clark, invece, e sebbene anch'egli avesse recentemente dato non poco nel capolavoro "White Light", piazza due perle di portata tale che agli altri non resta che sedersi e prendere appunti su come si faccia ad avere rispetto di se stessi. "Full Circle Song" in Europa la si trovava già su "Roadmaster", disco che uscì contro la volontà di Clark per il continente vecchio. Il lirismo di Gene "vola" su un accompagnamento musicale country ed acustico. "Changing Heart" è un ex episodio beat riarrangiato. Proviamo assieme ad immaginarci la sua melodia con l'accompagnamento elettrico che distinse i Byrds dei primi passi...

Il più bello ed il meno blasonato, il meno riuscito in termini commerciali ed il più bravo, il più dolce e quello con il maggior numero di problemi personali. Il più figo e quello che visse peggio (e che è morto per primo, e con questo facendo gli scongiuri del caso ed augurando lunga, lunghissima vita ai tre superstiti). Il migliore dei fontmen, capace, come disse esplicitamente Hillman, di star sul palco col suo tambourine per mezz'ora e, senza alcun bisogno di band, incantare la folla, suggestionarla con la sua posa strategica e la sua voce deliziosa. Il più di tutti, ed anche il più incapace a gestire le proprie emozioni, a trovare i giusti equilibri.

Gene Clark. Costretto ancora una volta dall'insuccesso. Ma quella volta, gli uccelli che non presero il volo furono i suoi compagni.

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