"Il Sabba di Beltane"

In un'epoca lontana, ancora libera dalla spietata morsa del cristianesimo, le popolazioni celtiche erano solite ringraziare la generosità della natura tramite rituali propiziatori, celebrati durante il ciclico alternarsi delle stagioni. L'ultima notte di Aprile, tra i festeggiamenti per l'equinozio di primavera del 21 Marzo (Ostara) e quelli per il solstizio d'estate del 21 Giugno (Litha), si collocava una delle principali "festività del fuoco", nella quale i druidi innalzavano fiamme nelle zone più elevate dei villaggi in onore del fulgente dio Belenus, mentre gli allevatori guidavano il bestiame in mezzo a due imponenti falò, nella speranza di garantire forza agli animali e di proteggerli dalle malattie per il tempo a venire.

Con l'ascesa al potere della Chiesa, i praticanti di questi riti, vennero indistintamente tacciati di eresia e mandati al rogo, mentre le divinità da loro omaggiate (che venissero chiamate "Diana", "Madre Terra" o fossero indicate con nomi celtici) furono tutte convenientemente convertite sotto il suggestivo nome di Satana e spregevolmente legate a fantomatiche cerimonie, in cui all'evocazione di esseri demoniaci, seguivano depravate danze orgiastiche ed orribili banchetti a base di carne di neonati, espandendo così a macchia d'olio, su tutto il territorio europeo, l'ombra della stregoneria ed il terrore per la dannazione eterna che aspettava i peccatori all'Inferno.

Nella loro impareggiabile abilità di trovare soluzioni miracolose a problemi inventati di sana pianta, gli esponenti della religione cristiana consacrarono le prime ore di Maggio, originariamente votate al sopra citato sabba per la fertilità del raccolto, a Santa Valpurga, in modo da conferire agli inconsapevoli fedeli, tramite la preghiera, una risorsa per sopravvivere a quella ricorrenza così profondamente corrotta dalla nefasta presenza del diavolo, tramandata e temuta nei secoli a venire come la malefica "notte di Walpurgis".

Nel 1967 l'organista Matthew Fisher, seguendo il consiglio dei compagni musicisti e dedicando perciò i propri sforzi a quell'antico ed oscuro avvenimento, sigillò il debutto discografico dei suoi Procol Harum con un brano strumentale senza precedenti, nel quale i rimandi bachiani del piano s'intersecano impeccabilmente con i soliloqui della chitarra elettrica, generando una delle fondamentali sorgenti dalle quali sarebbe zampillato gran parte del futuro progressive rock. "Repent Walpurgis", da pezzo rivoluzionario quale era, venne poi adottato due anni dopo da un gruppo svizzero di St. Gallen che, esaltando le taglienti incursioni  della chitarra e rendendo più incisivo il reparto ritmico, riuscì a distinguere e dinamicizzare la composizione, tanto da porla come cardine dell'esordio dei The Shiver, nonostante fosse una cover.

L'importanza dell'album "Walpurgis" venne ulteriormente incrementata grazie alla particolarissima e deviata fantasia figurativa del maestro Hans Ruedi Giger, il quale, occupandosi per la prima volta della resa grafica di una copertina (mediante un tema che continuerà ad evolversi assumendo forme indescrivibili), contribuì a determinare la reputazione leggendaria di un lavoro che, dal punto di vista strettamente musicale, non presenta ancora né un'audace fusione di generi né strutture particolarmente complesse, ma si adagia su un dignitoso blues rock dalle timide sfumature psichedeliche, trainato dalla chitarra di Dany Rühle. Quest'ultimo presente sia in brevissimi intermezzi scanditi dal borbottio del basso di Mario Conza ("Ode to the Salvation Army"), sia in vibranti cavalcate sulle note inizialmente appartenute a Nina Simone e portate alla ribalta nel '65 dai The Animals ("Don't Let Me Be Misunderstood"), sia infine in un soporifero blues di mestiere ("The Peddle") arricchito dall'armonica e dal canto sguaiato di Peter Robinson ("What's Wrong About the Blues").

L'altro protagonista indiscusso del disco è il pianista e organista Jeily Pastorini che, prendendo posto in cabina di pilotaggio, dirige il complesso sillabando coretti poco pretenziosi ("Leave This Man Alone") e ristagnando cupamente sul fondo di un canto disilluso e religiosamente provocatorio ("Hey Mr. Holy Man"), per poi accompagnare la batteria di Roger Maurer attraverso un semplice motivo ("No Time"), destinato, anni dopo, a ramificarsi e germogliare nello psych-progressive blueseggiante dei Deaf, successiva oasi fertile, nella quale pianteranno le proprie tende i superstiti Dany e Jeily (non a caso vera ed irrinunciabile essenza della formazione in esame), con all'attivo un unico LP postumo di esibizioni risalenti al periodo '70-'72, pubblicato sotto il nome di "Alpha" nel 1994.

Per quanto si tenga conto del periodo arcaico nel quale si svolsero le registrazioni e ci si sforzi di notare certi deboli tentativi di uscire da schemi consolidati e ormai obsoleti, bisogna ammettere che i The Shiver riuscirono a confezionare un lavoro nel quale i cosiddetti "risvolti epici" sono da ricercarsi solo ed esclusivamente negli inestimabili interventi esterni, impressi nel mirabolante faccia a faccia tra musica e rappresentazione, plasmato dal confronto tra l'avanguardistica abilità compositiva di Fisher e il delirio artistico di Giger, il quale, durante il pieno sviluppo dell'era progressiva, riuscirà con enorme successo a trasporre in immagine l'anima di opere di mostri sacri quali ELP e Magma, per non parlare di quel capolavoro svizzero che, tramite la marginale collaborazione di Dany Rühle, segnerà la fine della lunga odissea di un vascello salpato dalle terre dei sabba celtici nel '69 e finalmente approdato, otto anni più tardi, sulle coste di un regno plumbeo e angosciante, governato dallo spettrale Herold e dalle realtà allucinate della sua misteriosa isola.

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