RIMPIANTI SUBURBANI
(ovvero "Notturno autostradale")

Ancora una volta corre il 1998, tante cose sono cambiate dal lontano 1995: gli Smashing Pumpkins hanno perso un batterista, Billy Corgan saluta per l'ultima volta sua madre e io mi appresto a diventare "grande" e un pochino più disilluso, colpevole una cotta finita male, un libro di Philip Dick e questo disco.
Sono solo in un agriturismo disperso nelle Marche, o nell'Emilia, non ricordo, e non è importante, perchè "Adore" è un non-luogo, un raffinato crepuscolo elettronico profondo quanto un'abissale pozzanghera di addii.

"Adore" per me è il non-luogo della crescita, intesa come molteplice abbandono: abbandono dell'infanzia-adolescenza, dell'amore (madre o ragazza che sia, si lascia un rifugio e si finisce in un non-luogo dove non sei adulto e non sei adolescente) e del passato (la crescita porta alla consapevolezza di avere un passato e i suoi inevitabili rimpianti, sui quali "Adore" è costruito).

Il passato è rappresentato dal caldo acustico di "To Sheila", l'unico canto arpeggiato che ci può portare fino a casa, di notte. E' la poesia dell'autostrada crepuscolare, o del tramonto sulle paludi estive. Sono questi cori che ci rendono reali, questi grilli che cantano sullo sfondo di mille silenzi.
Ma è una falsa partenza, e subito ci investe il presente, ovvero la prepotente acidità elettrica di "Ava Adore". Un feedback lungo come l'ambiguo sorriso del bambino triste Billy ci porta alla ritmata coralità di "Daphne Descends", ballata in cui accettiamo (e ovviamente perdiamo) un amore più grande di noi stessi, fatto di sguardi rapiti, movimenti nel buio, stelle microscopiche e ragazzi che si tuffano dai rampicanti. Con "Once Upon A Time" si ritorna per un momento alla malinconia acustica di giornate sprecate e rimpianti di un affetto non dimostrato, per passare in "Tear" ad una disperazione epica che sa di schianti autostradali e lacrime che esplodono come questo incisivo riff di chitarra. La voce di Corgan dà tutto quello che può dare, è un evidenziatore grigio di pomeriggi grigi passati a maledire il cielo per avergli portato via qualcuno. "Crestfallen" è un fazzoletto di seta di pianoforte che asciuga lentamente il nostro viso, sussurrandoci di arrenderci davanti a ciò che è perso per sempre; cantando "lungo la strada ho perso la fiducia", questo ragazzo di Chicago sembra volerci dire che perdere la fiducia è peggio che perdere la fede.

"The Tale of Dusty and Pistol Pete" è un folk amaro e suburbano, fatto di antichi percorsi, cori di amanti che si inseguono disastrosamente attraverso le catacombe di "Mellon Collie", attraverso porte, piani immaginari e venti freddi. Dopo le lente nebbie di "Annie dog" e "Shame" con "Behold! The Nightmare" affrontiamo le più alte profondità degli immaginifici abissi compositivi di Corgan e approdiamo ad un mare di sentimenti in tempesta, di rose lasciate su tombe gotiche e accenni di speranza dietro gli occhi, a patto di lasciare tutto alle spalle e affrettarsi verso quel posto "dove i salici piangono e i vortici dormono", dove a cori arpeggiati da angeli sopraggiungono lacerazioni distorte e sfondi di pianoforte frustato da venti elettronici.
Ma l'incubo non si ferma, e nei sogni la mente ci porta a rivivere attraverso gli addii sussurrati e i ritratti senza tempo di "For Martha", brano che il cantante ha dedicato alla madre: le sonorità diventano in una volta sola leggere e solenni, lande desolate in cui soffiano fughe di pianoforte e duetti tra flauti e chitarre elettriche, voci cristalline cantano l'umano come creatura più che lacerata che lamenta la sua strada verso casa, mentre affonda i passi nella neve pura di "Blank Page", mentre finge (ma si illude veramente?) di essere un bambino e si nasconde dietro agli alberi, e si fa cullare dai fantasmi, e attraverso il telefono ascolta la pioggia che piange.
"Non ho mai voluto far del male a nessuno" sussurra il nostro... ma me ne hai fatto di male caro Billy, obliterandomi l'anima con questo disperato abbandono, straziante suono del non-luogo, o semplicemente canzoni di un autunno solitario.

17 secondi di pace è tutto quello di cui abbiamo bisogno prima di affondare nuovamente nella notte autostradale di "Adore"...

da "Blank page"

"In bed i was half dead tired of dreaming of rest
you haven't changed, you're still the same,
may you rise as you fall...
you are a ghost of my indecision,
no more little girl"

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