Mi scuso con lo staff, e con tutti voi per l'ennesima recensione di questo disco. Essa ha valore personale, non divulgativo.Comincio con una considerazione personale. ODIO i dischi totem. Non ho mai digerito il fatto che certi dischi non debbano essere messi in discussione. Non ho mai amato "Sgt. Pepper", e anche il terzo dei Soft Machine non sono mai riuscito a sentirlo in un fiato.Detto questo, trovo impossibile non accodarmi a chi venera questo disco. Ho letto, una volta, che i Ramones hanno cambiato la storia della musica, e, ancora di più, nessuno poteva sapere che nel 1977 qualcuno avrebbe suonato quella musica. Lo stesso vale per i Velvet Underground. Quando si formò, il gruppo aveva una composizione eterogenea: un omosessuale autore di canzoni da supermercato, un rocchettaro, uno studente di conservatorio, una ragazza (vera novità, all'epoca). Il periodo, quello dell'apice della psichedelia. La (prima) innovazione della musica dei VU fu il fatto di usare uno strumento atipico come la viola. Proprio la viola stridente di John Cale segnò un passo straordinario avanti (e, se qualcuno la vuole risentire, si procuri il primo degli Stooges).Dopo aver cominciato ad esibirsi dal vivo, il gruppo venne licenziato. Due serate, tanto durò il suo lavoro. La loro fortuna fu che in una di quelle due serate, ci fosse seduto tra il pubblico un'altro artista. Andy Warhol. Il guru della pop art aveva già cominciato a raccogliere intorno a sé quelli che costituivano la parte più avvelenata della grande mela. E Warhol fu anche il primo a credere nella riproducibilità dell'opera d'arte. Tanto bastò perchè si interessasse ai Velvet, e, per integrare nella loro formazione Nico. Cantante e chanteuse tedesca, era arrivata in America con Brian Jones.Tralascio volutamente le ulteriori considerazioni di inquadramento storico, e passo al disco. La cifra dell'album è costituita da uno straordinario fascino. Dalle prime (luccicanti? misteriose? rivelatrici?) note di Sunday morning, si è dentro. Vi rivelo una cosa: la canzone, anzichè l'immagine di risveglio prospettata nel brano, mi è sempre parso rispecchiasse, al contrario, una ninnananna. Per me The VU e Nico è questo: è un Lou Reed (o chi per lui) che rientra dopo un sabato passato a rovistare nelle viscere di NY, dove vede tizi che si fanno frustare da prostitute, ecc. E si addormenta. Non riesco a scindere questa musica dal pensiero che essa non sia altro che un lungo incubo, in cui Reed rielabora, in una chiave teatrale, appassionata, ecc. quello che vede. Ascoltare questa musica equivale a partecipare gomito a gomito all'attesa di uno spacciatore, scambiando frasi che diventano vapore con un tossico. Oppure, se la suggestione vi avanza, potete pensare di essere VOI il drogato coi 27 dollari in mano. Potete partecipare al pensiero di tutte le feste a cui parteciperete domani, a cui non volete nemmeno andare, ma che sono la vostra vita.Mi fermo qui. Scusatemi per aver approfittato del vostro tempo. Sentite questo disco, se non l'avete ancora fatto. Può cambiarvi la vita.

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