UN CAPOLAVORO SPORCO DI SANGUE E FANGO (La spaventosa e terrificante musica del lato sbagliato dell'America)

È il 1999 quando esce questo disco. L'ultimo album di studio di Tom Waits era stato "Bone Machine" del 1992 (escludendo la colonna sonora teatrale "The Black Rider"). "Mule Variations" è un capolavoro assoluto, contiene 16 pezzi dal suono 'sporco e sbilenco' ma tutti animati da una forza musicale irresistibile.

"Big In Japan" apre l'album, è un pezzo rock molto ritmato, scandito da solidi riff di chitarra elettrica, possenti percussioni e accompagnato dalla rugginosa e qui quasi demoniaca voce di Waits. "Lowside Of The Road" la seconda traccia dell'album rappresenta a pieno il neo-realismo musicale dell'autore: una descrizione di uno spaccato metropolitano, in un tempo e in un luogo non precisati, il tutto avvolto in un'atmosfera spaventosa, assolutamente inquietante.
Il ritmo è lentissimo e sembra avanzare a fatica, la voce di Waits si trascina faticosamente graffiando gli strambi e sporchi suoni prodotti dagli strumenti, di tipologia assolutamente non convenzionale.

"Hold On" è lo splendido singolo dell'album, una ballata che sembra provenire dai paesaggi rurali delle campagne americane: una melodia in 'bianco e nero' che suona romantica e antica, gentile ed allo stesso tempo sporca di fango. "Get Behind The Mule" è un pezzo country-blues di una semplicità e forza travolgente, una canzone blues old-style che profuma e 'puzza' della parte più selvatica della campagna statunitense. "House Where Nobady Lives" apre il cuore in due, una stupenda ballata strappalacrime, su un argomento che potrebbe lasciare indifferenti molti, ma non il 'vecchio Tom'. Trattasi di una casa abbandonata dalla famiglia abitante, lasciata sommergere dalle erbacce che vi crescono inesorabilmente e dai racconti della gente che la vede a volte come casa maledetta ed infestata da qualche cosa di non naturale. Una casa abbandonata è una casa a cui è stato strappato via il cuore, cosi racconta Tom:
"...I've all of life's treasures and they're fine and they're good they remind me that houses are just made of wood what makes a house grand ain't the roof or the doors if there's love in a house it's a palace for sure without love. . . it ain't nothing but a house a house where nobody lives. . . "

"Cold Water" è un bluesaccio da bettola malfamata, con semplici ma efficaci schitarrate e suono molto energico. Questo pezzo riprende un tema molto caro a Waits già da tempo immemore, quello dei reietti della società, gli emarginati, gli sconfitti, i senza tetto o come meglio fa capire l'autore con un termine azzeccatissimo i 'Rain Dogs'. Coloro che presi a calci e sbattuti ai margini delle strade da una società che crudelmente ed impetuosamente avanza, sono rimasti travolti e restano sbattuti sul suolo americano. Una canzone che può essere considerata come il prosieguo di suoi vecchi pezzi che ricorda molto quali "Jin Soaked Boy" e "Murder In The Red Barn" per citarne due. "Pony" è l'epilogo del ritorno verso casa di un fantastico, lento e lungo viaggio, a cavalcioni di un Pony. La ottava traccia "What's He Building?" non è una canzone, bensì un racconto del terrore su di un misterioso vicino di casa. Pezzo che grazie alla voce rauca e 'underground' dell'autore diventa particolarmente inquietante. Pochi gli strumenti, molti i rumori sinistri che accompagnano la voce di Waits. Una traccia horror ed indubbiamente sporca di sangue. Vengono riprese le atmosfere metropolitane e cupe della seconda traccia in "Black Market Baby": uno slow-blues da pelle d'oca.

Molto riuscita anche l'autobiografica "Eyeball Kid", incalzante, ritmatissima e ricca di percussioni bellissime. In "Picture In A Frame" ritroviamo un Waits seduto al piano che ci esegue una bellissima e romantica canzone, con suoni anche qui estremamente semplici ed efficaci. "Chocolate Jesus" è un blues, dall'irresistibile e blasfema ironia, dal ritmo lento e molto orecchiabile.
La traccia che mi lascia sempre a bocca aperta, la mia preferita in assoluto di questo album e forse dell'intera discografia di Waits è la tredicesima: "Georgia Lee". Qui troviamo ancora Tom al piano che ci narra, la terrificante storia della morte di una bambina in una cittadina americana non precisata, il cui corpo fu ritrovato fra i gelati rovi di un cespuglio non lontano da casa sua un inverno. Di fronte alla crudezza di tale avvenimento Waits coglie l'occasione per interrogarsi sulla possibile non-esistenza di alcun Dio. Da quest'ultima: "Why wasn't God watching? Why wasn't God listening? Why wasn't God there for Georgia Lee?" Una canzone colossale, mi lascia sempre esterrefatto.

"Filipino Box Spring Hog" è uno stravagante pezzaccio duro ed energico, che piace subito. Dopo la durezza delle note della precedente traccio l'animo si scalda nuovamente alle magiche note al piano di "Take It With Me", il romanticismo semplice e diretto di Waits si sprigiona qui in tutta la sua più profonda essenza:
"...In a land there's a town and in that town there's a house and in that house there's a woman and in that woman there's a heart I love I'm gonna take it with me when I go."

Epocale e non a caso conclusiva "Come On Up To The House". Trascendentale pezzo, con fiati e possenti percussioni, sul passaggio dalla vita terrena all'ignoto, rappresentato qui dall'autore da una misteriosa casa... da qui:
"...Come on up to the house Come on up to the house the world is not my home I'm just a passin thru Come on up to the house..."

Waits ha nuovamente fatto centro e produce alla soglia dei 50 anni uno dei suoi dischi più belli, un capolavoro che rimarrà per sempre nella storia della musica che non diventerà mai fuori moda (perchè mai lo è stato) e che non smetterà mai di far parlare di se, di emozionare chi lo ascolta e di lasciargli un segno indelebile.

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