Non ha di certo lasciato un segno indelebile nella storia del cinema, "Last Action Hero". Riassumo molto brevemente la trama: il piccolo Danny (Austin O'Brien) riceve in dono un biglietto magico, grazie al quale viene catapultato nel mondo della sua saga cinematografica preferita, il cui protagonista è il supereroico poliziotto Jack Slater (Arnold Schwarzenegger). In una fantastica California popolata da personaggi fiabeschi e ragazze da schianto, il ragazzino vivrà una serie di mirabolanti avventure assieme al suo beniamino. Nulla di trascendentale, un prodotto senza infamia né lode, un occasionale passatempo. Piacerà agli amanti dei film d'azione ad alto tasso di humour e disimpegno, altri lo troveranno l'ennesima cagata fracassona e costosissima sortita da Hollywood. In ogni caso vale la pena di recuperarne l'interessante colonna sonora, appetibile soprattutto per i fruitori di rock duro e metallo, di cui vengono proposte molteplici accezioni, grazie alla partecipazione di gruppi e musicisti diversi tra di loro. E proprio da questa eterogeneità deriva una certa difficoltà a scrivere di questa soundtrack. Come si fa, infatti, a giudicare in modo imparziale tutte le istanze in essa contenute? Come si fa a non preferire alcuni stili ad altri? Per quanto difficile sia, provo ad essere il più possibile obiettivo.  

Aprono le danze gli AC/DC nel loro inconfondibile stile, volutamente ed efficacemente ripetitivo: i soliti, irriducibili power chords, le solite scale di matrice blues, ritmi basici e una buona dose di simpatica cafoneria. La loro "Big Gun" riconduce addirittura alla dionisiaca era "Back In Black", eppure, benché all'epoca (1993) fosse un singolo trainante, oggigiorno è piuttosto trascurata, persino dagli stessi autori. Gli Alice In Chains si prestano alla causa ben due volte: dapprima con "What The Hell Have I", in cui tocchi orientaleggianti di sitar intarsiano il proverbiale sound del gruppo, diviso tra melodie fosche ed evocative e turgide chitarre distorte; la seconda volta con "A Little Bitter", che può considerasi una "sorella minore" della loro hit più rappresentativa di sempre, "Would?". I Tesla eseguono il compito di scrivere la canzone che prende il nome dal titolo della pellicola con un inno di hard rock coraggiosamente legato alla tradizione californiana degli anni Ottanta (va detto che nel '93 la parabola dell'hair metal era ormai in fase discendente, quindi tanto di cappello per la loro tenacia!), mentre i Fishbone propongono "Swim", un brano di roccioso heavy moderno. Sguaiato divertimento e cupa introspezione, classicità e avanguardia: come potete notare, le soluzioni finora presentate sono agli antipodi. Vale la stessa cosa per il metal: i Megadeth fanno onore alla loro essenzialità con una "Angry Again" marmorea e senza fronzoli, mentre i sofisticati Queensryche convincono con "Real World", un'ariosa ballata dal marcato gusto prog.

I più duri e cattivi degli artisti chiamati in causa, gli Anthrax, lasciano invece un pò perplessi: heavy e thrash si danno il cambio in modo piuttosto confuso in "Poison My Eyes" e il risultato ottenuto è un tantino macchinoso. Discreto è il contributo dei Def Leppard, "Two Steps Behind", una ballata acustica alquanto zuccherosa ma tutto sommato carina ed ascoltabile, mentre è una mossa strategica abbastanza spiazzante quella che getta nel calderone di questa colonna sonora un altro mitico gruppo, gli Aerosmith: anziché misurarsi con un brano nuovo, Tyler e soci portano in dote la loro leggendaria "Dream On" in una rutilante versione live con orchestra. E' stato più per volere del gruppo o della produzione? Se fosse stata la prima cosa, complimenti agli Aerosmith per la magistrale astuzia! Il rinomato compositore Michael Kamen, che scrive e dirige le orchestrazioni del disco, firma anche "Jack And The Ripper", pezzo strumentale in cui la sinfonia cede il passo ai vertiginosi virtuosismi del singolare guitar hero Buckethead, qui in veste di guest star. Trovano infine degna collocazione gli storici rappers Cypress Hill con la plumbea e caustica "Cock The Hammer": questa inclusione, oltre che la solita esigenza di copione, è un inequivocabile sentore della sinergia tra rap e rock che in quegli anni stava prendendo piede.   

In conclusione, il livello medio raggiunto è più che decoroso e il risultato è assai godibile, probabilmente più dello stesso film. Tre punti e mezzo che approssimo volentieri per eccesso.

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