Sono passati 8 anni da "Valvonauta" e "Viba" i loro singoli di successo che li avevano consacrati come next big thing italiana, dopo la psichedelia di "Solo un grande sasso" e la prima autoproduzione del "Il suicidio dei samurai" i Verdena ritornano con un nuovo album: "Requiem". 

Scrollarsi di dosso l'etichetta di "Nirvana italiani" non è stato facile, ma almeno all'inizio faceva anche comodo. In quel periodo (1999-2000) mancava in Italia un gruppo che si rifacesse al grunge di stampo nirvaniano che poteva buttare un occhio al mainstream e ai centri sociali. Contemporaneamente.

"Requiem" è un concentrato della loro rabbia giovanile, delle ballate tra Beatles e psichedelia, del grunge di fattura Melvins e Nirvana, dello stoner dei Queens of the stone age, della capacità di evolversi dei Radiohead. Ogni album dei Verdena , infatti, non si può negare che al primo ascolti spiazzi un po' l'ascoltatore. I pezzi si dilatano quando non te lo aspetti ("Il gulliver", "Sotto prescrizione del dottor Huxley"), altri arrivano come schegge impazzite ("Don Callisto", "Was?"), altri ti danno motivo di prendere aria per un pò di secondi ("Opanopono", "Aha", "Faro", "Marti In The Sky"), altre sono semplici ballad acustiche con venature psichedeliche ("Angie", "Trovami un modo semplice per uscirne").

Non saranno originalissimi, ma di questi album l'Italia del rock ne ha bisogno. Chi ha occasione e voglia che se li veda live, rendono parecchio. 

 

 

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