Sono sicuramente uno dei progetti musicali più interessanti usciti dagli Stati Uniti nel corso dell'ultimo anno, ma allo stesso tempo anche qualche cosa che devo per forza di cose definire un vero e proprio 'enigma'. Questo non perché io non avessi chiare le loro intenzioni, ma solo perché a un certo punto e dopo avere ascoltato più volte il disco, ho ritenuto che secondo me non siano riusciti a realizzare i loro propositi e abbiano fatto un po' di confusione. Non per questo, naturalmente, ritengo che questo disco non vada ascoltato. Al contrario. Ritengo che un ascolto sia quasi doveroso perché è un disco originali e vi si possono trovare contenuti interessanti, inattesi, alcune idee brillanti e che del resto sono il prodotto di musicisti veramente bravi e degni di nota.
XIXA è un progetto che prende il nome dalla musica tradizionale originaria del Perù, la 'chicha', praticamente un subgenere della cumbia diventato popolare negli anni sessanta e nato dalla fusione tra la cumbia originale, la musica tradizionale huayno e la musica rock (in particolare surf-rock e psychedelic-rock), cominciato alla fine dello scorso anno da Brian Lopez e Gabriel Sullivan a Tucson, Arizona. Poiché forse avete già sentito questi due nomi e dato che parliamo della città di Tucson, potete facilmente ricollegare tutti ai Giant Sand. I due infatti sono noti per essere parte dei musicisti nel giro di questa band storica e fortemente influente guidata dal mitico Howe Gelb. E questo significa due cose: 1. Come scrivevo prima, abbiamo a che fare con due musicisti rock di talento e smaliziati, che sanno fare il loro mestiere; 2. Che quando si parla di Giant Sand, si deve inevitabilmente fare i conti con il desert rock e con il deserto stesso, considerando quest'ultimo come uno spazio, ma anche come una specie di cultura, un particolare modo di essere e di concepuire l'esistenza. Il deserto è una dimensione speciale, le cui frequenze sono vibrazioni che si sentono e si ripetono tutto intorno e successivamente in ogni angolo del mondo. Persino nel più remoto e lontano. Così sono allo stesso modo le sonorità di questo disco che partendo dalle sonorità psichedeliche e latine della cumbia, si combina e rimodula in qualche cosa che dobbiamo per queste ragioni definire per forza anche come world music.
'Bloodline', il loro primo LP, uscito su Glitterhouse Records che poi forse sarebbe l'etichetta più adatta alla diffusione di dischi che propongono questo tipo di sonorità edi fascino mistico, segue lo l'EP 'Shift and Shadow', uscito lo scorso anno e che anticipava le sonorità del progetto e tra l'altro proponeva anche una particulare versione in stile cumbia di 'Plateau' dei Meat Puppets. Il disco è uscito lo scorso febbraio, in un momento particolare della storia americana e che vedeva il candidato repubblicano e futuro presidente degli Stati Uniti d'America Donald Trump, insistere durante la sua campagna elettorale su quelle che sono le sue idee insane in materia di immigrazione e soprattutto relativamente l'immigrazione illegale dai confini messicani. Tutta spazzatura ovviamente. Per sfortuna tuttavia, nel frattempo, un sacco di americani hanno creduto e credono in lui e lo hanno votato, ma, vedete, in un certo senso questo disco è un vero e proprio documento, una testimonianza di come gli immigranti abbiano fatto l'America e la stiano ancora facendo, arricchendo questo grande paese con quello che è il loro patrimonio culturale e le loro tradizioni.
Del resto sia Brian Lopez che Gabriel Sullivan hanno discendenze latino, entrambi fanno parte di famiglie latine di seconda o terza generazione e come dice lo stesso Brian, 'La musica latina stessa è parte del paesaggio e della struttura di Tucson.' Siamo a soli quaranta miglia dal confine, l'atmosfera che si respira in città è anche dovuta alle comunità messicane che la hanno arricchita, la scena musicale, sia quella cantautorale che quella hardcore è mescolata alla cultura sud-americana, dalla cumbia alle tradizioni messicane, la musica latina è ovunque. Per Lopez e Sullivan, ne consegue, l'interesse per queste sonorità, sin dalla nascita è stato qualcosa di inevitabile. Che doveva succedere per forza. Una questione di sangue.
Su una strada tracciata già dall'exploit dei Tinariwen, un gruppo straordinario e che sicuramente ha costituito una delle più grandi novità in campo psichedelico e della world music (una definizione che pare si debba usare per forza per ogni disco che non venga fuori dal mondo occidentale) e il successivo interesse per il Mali da parte di Hugo Race, Chris Brokaw e Chris Eckman, che hanno messo in piedi il progetto Dirtmusic e hanno in pratica aperto la strada al successo dei vari Tamikrest, Terakaft e il più convenzionale e conosciuto Bombino, hanno ridefinito il concetto di blues e di music rock psichedelica. È stato nel cuore dell'Africa che Hugo e i suoi compagni di viaggio hanno trovato le origini del blues, ma cosa ancora più importante tutti questi avvenimenti hanno in qualche modo ridefinito i confini del genere psichedelico che da quel momento è divnetato finalmente qualche cosa che universalmente non viene riconosciuto come proprietà del solo mondo occidentale.
Negli ultimi anni, gruppi psichedelici e realtà provenienti da ogni parte del mondo, e in modo particolare dal Sud America, e questo non è un caso, si sono diffusi in tutto il mondo e hanno ottenuto una certa attenzione anche in Nord America e Europa, rompendo barriere culturali e modificando il nostro modo di concepire questi luoghi, considerandoli finalmente diversamente dai soliti stereotipi. Per questo sono sostanzialmente in disaccordo con chi vuole considerare questo progetto come qualche cosa di esclusivamente sotivo. Se questa musica si può definire in qualche modo remota, questo è solo perché può rimandare a paesaggi e ambientazioni remote, il deserto ovviamente, i grandi corsi d'acqua dell'Amazzonia, il lato oscuro e misterioso del sud-ovest americano.
Il disco apre con 'Bloodline, un pezzo che definirei come una ballata cumbia mescolata a elementi tipici del desert-rock Giant Sand e con uno stile che per forza di cose rimanda a alcuni episodi della carriera solista di Howe Gelb, per esempio al disco pubblicato con la Band of Gypsies quattro o cinque anni fa. Il suono è elettrico e forzatamente groove come vuole la tradizione sudamericana. Una tipologia di sonorità e ritmi che sono gli stessi di 'Vampiro' dove entriamo in contatto con fascinazioni e immaginari che provengono da film western e di cowboy, o meglio: gaucho; chitarrismi mariachi; elementi gypsy e zingareschi che fanno pensare al mondo magico dei romanzi di Garcia Marquez e sonorità che non hanno né spazio né tempo.
'Killer' è una tipica cumbia con un refrain thrilling dovuto al suono delle chitarre e l'uso delle tastiere di sottofondo, una canzone che andrebbe bene per alcuni episodi parodistici del cinema di Tarantino o per 'Vampires' di John Carpenter. Una canzone che va ascoltata indossando gli occhiali da sole e che nel ritornello ha qualche elemento pop-psichedelico tipicamente sixties e rimandi ai Beatles anche nell'uso dei cori.
'World Goes Away' ha di nuovo qualche cosa di Howe Gelb, anche se la canzone è cantata con tonalità oscure e crepuscolari e con una voce che ricorda molto Nick Cave (qualche cosa che si può notare anche nella ballata rumorista, 'Pressures of Mankind') e che nel finale si apre in una maniera evocativa lasciando pensare a rituali ancestrali delle antiche e scomparse popolazioni del Sud America e immaginari andini.
'Down From The Sky' è una delle prime canzoni in tanti anni che mi fanno veramente pensare a una delle band che più ho amato nel corso dei miei anni giovanili e della mia intera esistenza, cioè gli Screaming Trees. Questo è il pezzo più potente del disco e sembra venire fuori direttamente dal disco 'Dust', l'ultimo di Lanegan e i fratelli Conner e uscito oramai nel lontano 1996.
Dopodiché, a mio parere, il disco diventa abbastanza confusionario e i suoi contenuti troppo controversi. Non solo per quelli che sono i suoi contenuti, che sono sicuramente molto più 'cumbia' (tra questi salverei e segnalerei la folkloristica e suggestiva, 'Golden Apparition') rispetto ai precedenti, ma perché in molti casi ci sono troppi suoni che si sovrappongono tra di loro creando una confusione incredibili e diventando qualche cosa di inascoltabile, persino fastidioso. 'Pressures of Mankind', 'Nena Linda', 'Living On The Line'... Sono tutte occasioni mancate. Menzionerei invece positivamente, 'Dead Man', canzone anche contenuta nell'EP, 'Shift and Shadow', e uno dei migliori brani del disco (se non il migliore) e che definirei un punto di incontro tra una eccentrica ballata western, folk psichedelia e desert rock. Una specie di visione allucinata a causa di ingestione di mescalina e il sole che ti batte forte sulla testa.
In pratica, il risultato di questo lavoro è per forza di cose imperfetto. Questo pazzo ensemble ha sicuramente realizzato qualche cosa fuori dagli schemi e di interessante e che per quello che è non considero simile a nessuno dei gruppi menzionati precedentemente e neppure ai Goat per esempio. XIXA è un progetto che definirei 'vizioso' e eccentrico e dove psichedelia e remote suggestioni si fondono a volte con successo, altre volte con un contrasto tuttora irrisolto da parte della band. Comunque, ascoltando questa atipica rock and roll band mi vengono da fare due considerazioni finali. La prima è che alcune sonorità cumbia ed elementi della musica latina sono incredibilmente lo stesso che quelle del patrimonio culturale musicale dell'Europa orientale e questo è probabilmente dovuto alla natura umana originariamente zingara e ai vagabondi che hanno continuato a viaggiare attorno al mondo da sempre, cioè dal momento in cui il genere umano ha abbandonato l'Africa e sempre adoperando la musica come forma di comunicazione. La seconda è che, inevitabilmente, questa musica ti fa pensare a una certa 'guapperia' tipica dei mariachi e ti fa collocare la band per il suo carattere eccentrico in ambientazioni cinematografiche. Penso ai Blues Brothers per esempio o ancora meglio ai Leningrad Cowboys. Le differenze stanno tutte nell'acconciatura e in quelle scarpe a punta. Il resto è più o meno lo stesso. Chissà se Aki Kaurismaki abbia mai sentito parlare di loro.
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